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Cultura e spettacolo

Un’epopea monumentale senza compromessi in una Hollywood che emargina l’arte per concentrarsi esclusivamente sul profitto
2 minuti e 52 secondi di lettura
di Dario Vassallo
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Francis Ford Coppola ha passato più di quattro decadi a fantasticare sul progetto ‘Megalopolis’ e a tentare di finanziarlo più di 20 anni durante i quali ha attraversato innumerevoli riscritture, ritardi e false partenze fino a decidere di produrlo in proprio con una spesa dichiarata di 120 milioni di dollari ottenuti anche vendendo una parte dei suoi vigneti in California. Il nucleo della storia si rifà ad una pagina dell'Impero romano quando Lucio Sergio Catilina, aristocratico e aspirante console, tentò di rovesciare la classe oligarchica dominante per realizzare un programma di riforme radicali a favore degli strati più poveri della plebe, riferimenti che Coppola traduce nella New York dei giorni nostri, nei suoi echi architettonici, nelle statue e nelle iscrizioni su monumenti ed edifici.

Qui Cesar Catilina (interpretato da Adam Driver) è un genio visionario che vuole costruire un futuro utopico. Ha inventato un nuovo miracoloso ed ecologico materiale da costruzione, il Megalon, con il quale vuole riedificare la città e restituirla alla gente. Ma il brillante urbanista incontra la ferma opposizione del neoeletto sindaco conservatore Franklyn Cicero che ha ereditato un disastro fiscale dalla precedente amministrazione e vuole realizzare invece una serie di casinò per aumentare le entrate.

Tra i due non corre buon sangue fin da quando il sindaco era il procuratore distrettuale incaricato delle indagini sull'omicidio della moglie di Cesar che non è mai stato risolto. Nel frattempo Julia, la figlia del primo cittadino, è attratta dall'idealismo di Cesar e se ne innamora fino ad aspettare un figlio da lui convertendosi anche al progetto Megalopolis contro il volere del padre. Un riassunto, questo, che ovviamente non tiene conto della miriade di personaggi e sotto tracce che servono a Coppola per costruire una metafora sul suo rapporto con l'arte. Perché in molti modi la missione di Cesar, nobile ed egocentrica, sembra un riflesso diretto della tenace determinazione del regista nel realizzare questo film ad ogni costo.

Quella che definisce nel sottotitolo ‘una favola’ è da considerare l’allegoria dell’inseguimento di un sogno in cui un autore può ancora realizzare un’epopea monumentale senza compromessi in una Hollywood che emargina l’arte per concentrarsi esclusivamente sul profitto. 'Megalopolis' è una saga tentacolare, il sogno di un pazzo, una visione abbagliante nella mente di un creativo inquieto e chiaramente anche il prodotto di un regista non vincolato da finanziatori. É tutto e niente, nello stesso tempo un'opera di un’arroganza impressionante e una follia gigantesca, un esperimento audace e un tentativo fantasioso e sconsideratamente ambizioso di catturare la nostra caotica realtà contemporanea. Cita ‘Amleto’ e ‘La tempesta’, Marco Aurelio e Petrarca, rimuginando sul tempo, la coscienza e il potere. A tratti divertente, visivamente abbagliante e illuminato da una commovente speranza per l'umanità i cui temi eterni - avidità, corruzione, lealtà e potere – minacciano di soffocare una crisi personale più intima.

Con un cast stellare (oltre a Driver anche Shia LaBeouf, Aubrey Plaza, Dustin Hoffman, Jon Voight e Laurence Fishburne), parlando di politica, razza, architettura, filosofia, sesso, amore e lealtà il film è al tempo stesso una specie di disastro - indisciplinato, disordinato ed esagerato - ma anche il grido del cuore di un impero morente e degli eccessi tardocapitalisti. É la storia di una società americana in difficoltà, l’agonico sussulto di un impero antico che ha una sorprendente somiglianza con il Circo Massimo contemporaneo e fatiscente dell'America e in definitiva l’opera di un grande artista, intransigente e unicamente intellettuale, sfacciatamente romantica e straordinariamente sincera nel desiderare nuovi mondi coraggiosi e migliori.