Ultimi giorni – chiuderà infatti domenica prossima – per poter visitare a Palazzo Nicolosio Lomellino una mostra di grande successo organizzata a partire da quell’idea di apertura verso realtà lontane e diverse che aveva ben chiara in mente Luigi Centurione Scotto, proprietario del palazzo all’inizio del Seicento, tanto da chiedere a Bernardo Strozzi di affrescare nella grande sala centrale del primo piano nobile temi che comprendevano la raffigurazione di nativi americani.
Il fil rouge è la rappresentazione nell'arte genovese del 'Turco'
'Ottomani, Barbareschi, Mori e altre genti nell’arte a Genova - Fascinazioni, scontri, scambi', questo il titolo dell'esposizione curata da Laura Stagno e Daniele Sanguineti, vede come fil rouge l’articolata rappresentazione nell’arte genovese del ‘Turco’, termine con il quale si indicavano in Occidente, a partire dal Cinquecento, tutti i popoli che abitavano i territori dell’impero ottomano, senza distinzioni. Nello specifico, l’attenzione dei genovesi verso queste realtà fu intensa e costante, in continuità con la ricca rete di rapporti tra la città e il Levante in epoca medievale. La percezione occidentale dei Turchi, dei Barbareschi (ovvero gli abitanti degli stati del Maghreb) e dei Mori ispirò opere di eccezionale valore artistico che sono nel contempo testimonianze di un tema affascinante e complesso: l’incontro/scontro tra mondi diversi. Gli abitanti di quei territori venivano in effetti identificati dall’Occidente come l’Altro per eccellenza, anche nei termini di luogo simbolico in cui convergevano le paure, le aspirazioni e i conflitti della civiltà europea: la forza di questa associazione ha condotto l’Europa cristiana a utilizzare l’immagine del Turco come modello di partenza e strumento interpretativo per rappresentare realtà anche molto lontane nel tempo e nello spazio, incluse le figure negative di molte narrazioni religiose. In quest'ambito Genova è stata un laboratorio importante di costruzione e diffusione di immagini di questo tipo.
In mostra cinquantadue opere
La mostra raccoglie opere d’arte che illustrano i più diversi versanti dell’immagine degli Ottomani nell’arte genovese: combattenti, schiavi, dignitari e sultani popolano le scene raffigurate nei dipinti e negli altri manufatti esposti, in scenari che spaziano dalla corte di Costantinopoli al porto di Genova dove si svolgeva la vita quotidiana degli schiavi quando non erano in mare sulle galee. In tutto cinquantadue opere, prestate da privati, Fondazioni e musei prestigiosi come il Louvre, il Museo di Capodimonte e le Gallerie dell’Accademia di Venezia. La metà sono dipinti di alcuni tra più importanti artisti attivi nel contesto genovese – tra cui Giovanni Battista Paggi, Giovanni Battista Carlone, Orazio De Ferrari e Giovanni Benedetto Castiglione detto il Grechetto – che illustrano i diversi aspetti del tema e dialogano con opere di artisti di diversa provenienza come il capolavoro dedicato da Paolo Veronese alla vittoria di Lepanto. I dipinti si alternano ad altri manufatti artistici come la pisside liturgica che include una teca d’avorio arabo-sicula del XII secolo, un vaso cinquecentesco in ceramica di produzione ottomana con elaborati decori blu e cartoni per arazzi eseguiti da Luca Cambiaso e i suoi collaboratori.
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