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Cultura e spettacolo

Il celebre attore protagonista della serie dedicata al commissario creato da Andrea Camilleri ha presentato il suo primo film da regista: 'La casa degli sguardi'
4 minuti e 4 secondi di lettura
di Dario Vassallo
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Marco ha vent'anni, una grande capacità di sentire e avvertire la sofferenza ed empatizzare con il dolore del mondo. Scrive poesie e cerca nell’alcool e nelle droghe uno stato di incoscienza impenetrabile anche all’angoscia di esistere e di vivere. È il protagonista del libro 'La casa degli sguardi' di Daniele Mencarelli, scrittore romano che ha sublimato nella letteratura una giovinezza complicata, che Luca Zingaretti ha scelto di trasporre sullo schermo per il suo esordio da regista che ha presentato qui a Genova.

L'idea di fare il regista le è venuta quando ha dovuto sostituire Alberto Sironi che aveva problemi di salute nelle ultime puntate di Montalbano oppure era qualcosa che già voleva fare?
“No no, era una cosa che volevo fare da almeno dieci anni, un desiderio crescente che poi è diventato urgenza. L'esperienza che ho fatto sul set di Montalbano è un qualcosa che ha mi ha fatto pensare che forse anche da un punto di vista tecnico avevo le carte in regola ma era una voglia che cresceva da anni.

E ha trovato il suo sbocco in questo libro. Perché lo ha scelto?
'Di Mencarelli avevo letto 'Tutto chiede salvezza' da cui poi è stata tratta una serie Netflix che mi ha fatto venir voglia di conoscere meglio questo autore. Quando ho letto 'La casa degli sguardi' ho subito pensato che fosse una storia su cui valeva la pena correre il rischio di passare alla regia. Il perché non saprei dirlo, credo sia una una di quelle storie che mi piacciono: di rinascita, di una persona che cade a terra e si rimette in piedi, di un ragazzo che a un certo punto vede la luce molto lontana ma capisce che la via d'uscita è lì. Sono racconti che mi hanno sempre emozionato. In più c'è la possibilità di trattare temi a me cari come la genitorialità, l'importanza salvifica del lavoro, della bellezza, della poesia e perfino del dolore”.

Il dolore qui viene qui trattato in una maniera un pò particolare, nel senso che viene visto come qualcosa di utile per una crescita personale
“Beh, a nessuno piace soffrire. Però è anche vero che il dolore non si può evitare, non si può sempre fuggire dal dolore. La nostra società ci porta a demonizzarlo, bisogna essere sempre up, sempre performanti. Invece ci si dimentica che il dolore ha anche una grande dote, è un evento catartico che ti permette poi di superare qualunque ostacolo, perché stai lì e il tempo lavora affinché tu da quel momento ne possa uscire con un qualcosa di rinato”.

Luca Zingaretti nel film 'La casa degli sguardi', il suo primo da regista

Lei si è scelto il ruolo del padre
“In realtà non l'ho scelto io, hanno insistito i miei co-sceneggiatori che dicevano: quando scrivevamo pensavamo a te. Ribattevo: io invece non pensavo a me stesso quando scrivevo e loro 'ma secondo noi lo faresti da Dio' e allora mi sono lasciato convincere, anche perché a un certo punto entra in gioco il narcisismo dell'attore. Alla fine sono stato contento di averlo fatto perché penso che se due persone così esperte e importanti nel processo creativo di un film come gli sceneggiatori ti dicono fallo tu... Insomma, è andata così. L'ho interpretato e sono contento”.

C'è qualche regista che, consciamente o inconsciamente, l'ha influenzata?
“No, sinceramente no, non mi sono ispirato a nessuno se non al mio desiderio di raccontare questa storia nel modo in cui poi l'ho fatto”.

Cosa vorrebbe che lo spettatore si portasse con sé uscendo dalla sala?
“Mi piacerebbe che ognuno si prendesse un pezzettino del film, la parte che magari lo riguarda di più e se ne tornasse a casa con quel pensiero. Anche perché in questi giorni in cui ho girato per l'Italia ho avuto modo di capire che la gente è molto vicina a questo film riconoscendo che è un qualcosa che riguarda tutti noi".

Che rapporto ha con Genova?
“L'ho molto frequentata durante i miei primi vent'anni di carriera dedicati al teatro, ogni anno venivo qui in tournée per una o due settimane. In più c'è stata una produzione molto importante dello Stabile, al tempo di Ivo Chiesa, il 'Tito Andronico', che provammo proprio qui. E' una città che mi piace molto con una caratteristica propria molto tipica dei genovesi: è da scoprire, all'inizio forse un pò ti respinge come tutti i posti di mare che inizialmente respingono lo straniero, poi però ti accoglie quando impari a conoscerla e a rispettarla”.

Per chiudere, adesso che sono passati alcuni anni, quanto le manca quel 'Montalbano sono'?
“È stata un'esperienza meravigliosa. Certo che mi manca, come tutte le cose che hai amato, che non fai più o non hai più. Mi manca tanto. Però è anche vero che ogni esperienza umana ha un suo inizio e una fine. Il fatto però che ormai sia alle mie spalle non mi impedisce di provare una grande, struggente nostalgia quando penso soprattutto a quei momenti e ai compagni di viaggio, anzi più che compagni di viaggio direi complici di quel viaggio”.

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