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Cultura e spettacolo

Una non banale riflessione sul cinema sviluppata con i toni di una commedia a tratti irresistibile
2 minuti e 14 secondi di lettura
di Dario Vassallo

Ovviamente alla Mostra di Venezia dello scorso settembre dove è stato presentato in concorso non ha vinto alcun premio ma certamente ha regalato al pubblico qualcosa che ai Festival è merce rara: la risata. E non era la prima volta che i due registi argentini Gaston Duprat e Mariano Cohn portavano allegria al Lido: lo avevano fatto già sei anni fa con ‘Il cittadino illustre’ che aveva ottenuto anche una nomination agli Oscar come miglior film straniero e si sono ripetuti con ‘Finale a sorpresa’ che affronta una realtà che conoscono molto bene: il mondo del cinema che sbeffeggiano con una risata scomoda e una smorfia che assomiglia molto ad un ghigno.

Tutto parte da un uomo d’affari miliardario che alla ricerca di riconoscimento e prestigio sociale decide di produrre un film che lasci il segno. Per riuscirci, assume i migliori su piazza: la famosa regista Lola Cuevas (Penelope Cruz) e due rinomati interpreti, entrambi di enorme talento ma con un ego ancora più grande: Félix Rivero, attore hollywoodiano beniamino del pubblico internazionale (Antonio Banderas), e Iván Torres (Oscar Martinez), illustre rappresentante del teatro più radicale possibile che detesta Hollywood e il cinema commerciale e sogna di poter vincere un Oscar soltanto per andare a Los Angeles a rifiutarlo. Entrambi leggende ma non proprio in buoni rapporti.

Dal primo incontro, che diventerà il primo di tanti confronti, è chiaro che i conflitti dei personaggi che rappresentano non rimarranno soltanto davanti alla macchina da presa e che le loro differenze saranno enfatizzate e ripetute per tutto il film. Entrambi insopportabili, ciascuno per proprio conto. I due, attraverso una serie di sfide sempre più assurde ed eccentriche lanciate da Lola, finiranno per confrontarsi in un gioco al massacro.

‘Finale a sorpresa’ non è ‘cinema nel cinema’ tanto che della lavorazione vera e propria del film non c’è traccia, vediamo soltanto alcune prove di lettura e poi la conferenza stampa finale quando la pellicola esce nelle sale, ma piuttosto un film sul fare un film. Perché quello che più interessa i registi argentini è lo scontro tra due personalità ugualmente narcise – uno dal punto di vista fisico, l’altro da quello intellettuale - e tra loro e la regista in un percorso che va dritto verso l’esaltazione dell’ego attraverso il bisogno di prestigio e riconoscimento.

Una riflessione non banale sul senso stesso del cinema e su cosa significhi essere un attore (per Marlon Brando “un tizio che se non stai parlando di lui non ti ascolta”) ma sviluppato con i toni di una commedia a tratti irresistibile dove alla fine Antonio Banderas e Oscar Martinez finiscono per essere due facce della stessa medaglia.