Questa sera verrà assegnato il Palmares dalla giuria presieduta da Vincent Lindon (con la nostra Jasmine Trinca) e proprio in dirittura d’arrivo un paio di film, diversissimi tra di loro, si impongono tra i migliori di questo Festival. Il primo è ‘Broker’ di Hirokazu Kore-eda, probabilmente oggi il migliore regista giapponese, già vincitore nel 2017 della Palma d’oro con ‘Un affare di famiglia’. E nessuno come lui sa fare film su famiglie, sia che si tratti di consanguinei o di gruppi improvvisati messi insieme dalle circostanze e dal bisogno come accade qui dove racconta la storia di una coppia disordinata di ladruncoli, disadattati ai margini della società, che violano la legge, questa volta nella Corea del Sud.
In una notte di pioggia una giovane donna lascia il figlio appena nato al ‘baby box’ di una chiesa, un deposito per bambini abbandonati. Quella sera sono di turno due volontari soci in un'attività di mercato nero: i neonati che trovano li vendono a coppie che non possono avere figli. La madre però ritorna e chiede che le restituiscano il piccino ma alla fine i due la convincono a collaborare sostenendo che è meglio affidarlo a qualcuno che pagando una grossa somma lo amerà veramente piuttosto che lasciarlo intrappolato nel sistema burocratico coreano con l’orfanotrofio come unica possibilità.
Prende così il via un viaggio che oltre ai tre adulti e al neonato coinvolge pure un altro ragazzino scappato appunto da un orfanotrofio dove stava trascorrendo la sua infanzia, figura che contribuirà ad abbattere le distanze tra i grandi incoraggiando una vicinanza familiare che spingerà ciascuno di loro ad essere meno guardingo rispetto agli altri. La situazione è complicata dalla presenza a distanza di due donne poliziotto che vogliono incastrare i malviventi, certo non temibili criminali ma solo poveracci in difficoltà finanziarie. Alla fine finiranno però per considerarli con occhi diversi osservando in prima persona la gentilezza e l’affetto che lega il gruppo.
Con grande leggerezza e sincerità emotiva Kore-eda ci mostra una sorta di melodramma immerso in un realismo sociale senza toccare le corde del sentimentalismo. ‘Broker’ è un commovente road movie che pone domande su questioni di etica, di scelta, di denaro e ovviamente di famiglia, e su come trovare l'amore in tutto questo pietoso pasticcio. Non vengono fornite risposte: il regista giapponese è un empatico ma non è mai stato un utopico, raramente i suoi film hanno un lieto fine. Ma ha una simpatia sorprendente per le decisioni imperdonabili che prendiamo, una pazienza per tutti gli strani viaggi che dobbiamo intraprendere per scrollarci di dosso il risentimento che abbiamo accumulato nel tempo. E in qualche modo trova sempre una maniera per vedere la luce in tutto questo.
E’ vero, non esiste una gomma magica per cancellare le trasgressioni e fornire a tutti il perdono ma pure può esistere un'apertura a nuove possibilità e la fine del film, senza svelare nulla, rivela una generosità di spirito e una toccante fede nella natura umana che possono nascere solo attraverso la creazione di un rapporto di fiducia, tanto più importante perché nato tra persone che si erano unite insieme soltanto per convenienza.
Interessante anche ‘Close’, secondo lungometraggio del 31enne regista belga Lucas Dhont, il cui debutto nel 2019, “Girl”, gli era valso qui a Cannes la Camera d’or, premio riservato alla migliore opera prima. Due tredicenni, amici legatissimi, Leo e Remi non sanno che quella che stanno trascorrendo insieme sarà l'ultima estate perfetta della loro vita, l’ultima in cui condivideranno la stessa immaginazione, amandosi senza dover pensare a cosa significhi, correndo o andando in bicicletta il più velocemente possibile per non perderne nemmeno un minuto. Entrambi in fase pre-sessuale, come una coppia di giovani cuccioli, a loro agio appoggiando la testa sulle spalle l'uno dell'altro, seduti abbastanza vicini da potersi toccare, o addirittura abbracciandosi insieme a letto come farebbero con un fratello o un genitore.
Quando inizia la scuola, i loro compagni di classe li prendono in giro perché troppo legati l’uno all’altro condendo questa impressione con eccessiva malizia. Leo, che sembra essere il più intensamente affettuoso dei due, sarà anche quello che spingerà via l'altro, il primo ad avere paura di quella amicizia che era la sua più grande gioia. E Remi vivrà tutto questo come una tragedia che non riuscirà a superare.
‘Close’ è un dramma di formazione lucido e coinvolgente che come già accadeva in ‘Girl’ mostra una visione vividamente toccante dell'identità adolescenziale sconvolta da un trauma improvviso, sondandola con una trasparente onestà che le storie di maturità raramente hanno. Teneramente - e con una grazia rara - Dhont traccia i confini invisibili attraverso i quali i giovani uomini sono condizionati a vedere tra se stessi e i loro amici maschi più stretti, il modo in cui ragazzi spaventati cercano ombre che possono scambiare per fantasmi, la maniera in cui a volte gli adolescenti si allontanano quando la tenera intimità che condividevano da bambini si indurisce in qualcosa che viene insegnato a mantenere segreto dagli adulti. Un film che colpisce e che merita di essere visto.