Sono una donna di 46 anni che da anni combatte in prima linea per tutte le persone affette da malattie rare, croniche, progressive e incurabili. Da sempre, come tutte loro, sono considerata un numero, un fastidio, uno sbaglio, un costo, una perdita di tempo. Anche adesso, in questa emergenza sanitaria, mi hanno attribuito un'etichetta classificandomi come "categoria debole" o "categoria a rischio", rientro cioè in quella percentuale di persone che se contraggono il virus hanno poche probabilità di superare l'infezione. Una percentuale che comunque, ci fanno sapere, rimane minore rispetto a quella delle guarigioni. Un dato statistico che viene continuamente messo in evidenza, forse perché dovrebbe essere rassicurante, ma che invece non fa altro che alimentare il meccanismo mentale contorto del cittadino che utilizza questa notizia come una scusante per continuare a tenere comportamenti irresponsabili e incivili. Come se a fronte di queste statistiche si sentissero nel diritto di non rispettare le regole, di andarsene in giro fregandosene di tutto e di tutti, senza rinunciare a quelle attività che per loro sembrano fondamentali: prendere l'aperitivo, andare in discoteca, a cena fuori, in palestra.
Ci sono delle similitudini tra una malattia rara e l'infezione da covid19, le più evidenti sono l'incertezza di evoluzione e l'assenza di cura (almeno per ora). Ma ci sono delle differenze fondamentali che continuano a rendere la prima una malattia invisibile, mentre fanno della seconda una malattia che si può sconfiggere. Massima assistenza sanitaria, potenziamento delle strutture ospedaliere, assunzione di personale medico, erogazione di grossi finanziamenti: sono tutte armi potenti per combattere questa epidemia. Armi che quasi sempre alle malattie rare sono negate; per loro l'assistenza sanitaria è da sempre carente, la ricerca quasi inesistente e pochissimi sono i fondi disponibili.
Vivo, o meglio sopravvivo come meglio posso, nell'incertezza assoluta della malattia e nel menefreghismo sociale, sanitario e politico. Nonostante questo ho sempre cercato di dare il massimo per il bene comune, rispettando sempre il prossimo anche se la comprensione e l'interesse verso queste malattie continua a essere pari a zero. Ma in questa situazione estremamente pericolosa e delicata per tutti i pazienti affetti da patologie gravi e per i loro parenti che moltissime volte diventano caregiver, non riesco più a tollerare e subire l'indifferenza e l'ignoranza che probabilmente contribuiranno a far aumentare i decessi non solo tra gli anziani, che ricordo essere persone con un volto e un nome e quindi nonni, genitori, amici o parenti di qualcuno. Le persone e le famiglie che convivono con delle malattie così dette invisibili, vogliono vivere e ne hanno tutto il diritto. Contro la stupidità e l'incoscienza non servono soldi e risorse umane, servono misure rigide.
Chiedo quindi, e mi sento di farlo a nome di tutti i pazienti e familiari, più rispetto e senso civico da parte del cittadino, che dovrebbe capire che il sistema sanitario non può reggere a un contagio di massa che si sviluppa in tempi brevi come sta accadendo, e che nessuno dei medici vuole arrivare a dover fare la scelta più dolorosa: chi dei pazienti salvare e chi no. Senza considerare che tutto il personale sanitario è a rischio e nel peggiore dei casi potremmo rimanere tutti senza assistenza sanitaria.
Inoltre chiedo regole e controlli più rigidi da parte del Governo, che deve far fronte a questa emergenza con tutti i mezzi possibili, anche estremi. Ci sono delle regioni che hanno stanziato dei fondi a sostegno delle famiglie per l'accudimento dei figli durante la sospensione delle lezioni scolastiche, ma avete pensato alle milioni di persone disabili o affette da patologie croniche che vivono con familiari costretti comunque ad andare a lavorare perché senza nessun sostegno economico? Avete già in mente un piano di aiuto nel caso il loro caregiver si ammali e nella peggiore delle ipotesi dovesse essere ricoverato in ospedale? Al disabile o al malato grave, chi ci penserà? Molti sono bambini con patologie gravissime. Dovete attuare misure drastiche e dovete farlo subito per tutelare davvero tutti i cittadini, comprese le persone che si vedono costrette a rinunciare ad esami, visite, terapie farmacologiche, fisiche e riabilitative dentro gli ospedali e fuori, indispensabili e vitali. Non possiamo rischiare la vita a causa dell'incuranza delle persone.
Essere disabili, affetti da una malattia rara e cronica non è una colpa ma una disgrazia. Siamo persone che hanno bisogno di più attenzione, non vittime sacrificabili.
*Deborah Capanna, Presidente Comitato IMI Onlus - Malattie Rare e Orfane di Diagnosi.
salute e medicina
Comitato malati invisibili: "Non siamo vittime sacrificabili, al Governo chiediamo regole e controlli severi"
L'appello della presidente del comitato
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