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Porto e trasporti

2 minuti e 1 secondo di lettura
di Elisabetta Biancalani
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GENOVA - "Fissare gli obbiettivi senza tenere conto delle tecnologie disponibili sarebbe solo un’operazione mediatica. E stabilire penalizzazioni fiscali in assenza di alternative all’uso dei carburanti fossili, servirebbe solo ad alzare i costi del trasporto, senza alcuna contropartita per la collettività e per l’ambiente". Così il presidente di Assarmatori, Stefano Messina, fresco di rielezione, commenta a Primocanale i rischi della transizione ecologica nel suo settore se il Governo italiano non riuscirà ad imporre all'Europa un sistema di regole che non penalizzi l'economia del nostro Paese. 

 

"E’ una grande sfida che richiede altrettanto grande serietà. Gli armatori sono impegnati a fondo e da anni per rispettare il percorso di de-carbonizzazione del trasporto marittimo stabilito dall’IMO. Non solo, gli armatori condividono anche lo spirito dell’accelerazione impressa dall’Unione Europea in questo percorso, ma hanno molti dubbi ed anche una notevole preoccupazione riguardo la strada scelta per raggiungere gli obbiettivi. Per spingere lo shipping verso l’uso di fuel green la Commissione UE propone di disincentivare l’uso di carburanti fossili attraverso misure fiscali, come l’estensione al trasporto marittimo del sistema europeo di scambio delle emissioni (EU Emission Trading System – EU-ETS) e l’introduzione, a partire dal 2023, di una tassa da applicare a tutti i carburanti venduti nell’area economica europea (EEA) per i viaggi interni all’EEA, con l’opzione, per gli stati membri, di estenderla anche ai viaggi internazionali.

 

 

 

"Sapete che cosa significa? Che abbiamo risolto il problema dei dragaggi. Sarà inutile farli, tanto le grandi navi non verranno più in Europa, ma si fermeranno a Tangeri o a Suez per non pagare le tasse Ue. Le merci da noi dovranno arrivare per altre vie, con navi più piccole e molto più costose. Lo shipping internazionale che attualmente scala i porti europei cercherà di eludere le nuove imposizioni evitando di toccare i porti europei e scalando invece gli hub già esistenti ai confini dell’EU o quelli – numerosi - in corso di realizzazione, ad esempio in Nord Africa, sulla sponda sud del Mediterraneo.

 

L’aspetto più grave è che una impostazione autolesionistica come quella del Fit for 55 non servirà nemmeno a ridurre le emissioni, non perché manchi la volontà degli armatori ma perché mancano le tecnologie, i fuel alternativi e le reti di distribuzione degli stessi. E mancheranno ancora per molto, mentre sono a disposizione carburanti di transizione, come il GNL, che nel pacchetto Fit for 55 non viene considerato green".