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Sanità

"Tifo per la Liguria" racconta Laura che vive a Perugia ma è da sempre legata a Genova. Affetta da sclerosi multipla da quasi trent'anni, lancia un appello alla politica: "Migliorate tempi e procedure per chi fa richiesta e ha diritto, così è una tortura"
27 minuti e 46 secondi di lettura
di Riccardo Olivieri

 

GENOVA/PERUGIA - La possibilità di scegliere quando e come morire può aiutare a vivere: è questo il messaggio che dalla sua Perugia Laura Santi, da quasi trent'anni affetta da una grave forma degenerativa di sclerosi multipla, lancia a tutto il mondo della politica, sia al Governo che alle Regioni, perché si faccia una legge che regoli il fine vita. In Liguria è stato avviato l'iter (LEGGI QUI); ad oggi in Italia invece è possibile accedere al suicidio assistito se si soddisfano le quattro condizioni definite dalla Corte Costituzionale nella sentenza Cappato: si deve essere lucidi e consapevoli, affetti da una patologia irreversibile che provochi una sofferenza insopportabile ed essere tenuti in vita da trattamenti di sostegno vitale.

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Questi criteri si rifanno alla situazione clinica di Fabiano Antoniani, dj Fabo, la persona che il tesoriere dell'associazione Luca Coscioni (di cui Laura Santi è consigliera) Marco Cappato aveva accompagnato in Svizzera per accedere al suicidio assistito, ed escludono quindi tutti coloro che non sono "tenuti in vita da trattamenti di sostegno vitale" (situazione comunemente definita come "tenuti in vita dalle macchine", ndr); inoltre in Italia non ci sono tempi certi per ottenere una visita dopo aver fatto la richiesta di verifica dei requisiti per ricevere l'approvazione per l'accesso al suicidio assistito.

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Per questo Laura Santi si rivolge direttamente al Governo e alle Regioni e chiede di superare "il discrimine del quarto criterio della sentenza della Corte Costituzionale, cioè i trattamenti di sostegno vitale" e di migliorare "i tempi, le procedure per i malati che facciano richiesta e ne abbiano diritto, perché così è veramente una tortura e una beffa nella tortura".

Laura Santi, 27 anni fa hai scoperto di avere la sclerosi multipla, una rara forma degenerativa. Come è cambiata la tua vita dalla diagnosi a oggi?

Nella mia vita ci sono state tante sclerosi multiple, perché la malattia ha avuto fasi molto diverse. Questo è anche un messaggio di fiducia che lancio ai tanti giovani che ci seguono, visto che siamo su Primocanale e in Liguria c'è AISM, l'Associazione Italiana Sclerosi Multipla. Non tutte le forme, per fortuna aggiungo, sono come la mia, come quella di altre persone. Nel mio caso la malattia è partita in modo silente. Ce l'ho esattamente da 27 anni, è peggiorata con il tempo. Non si credeva che sarebbe peggiorata questo livello. Sono approdata alla sedia a rotelle nel 2016. Nel 2016, in soli dieci mesi, ho cambiato la mia deambulazione: ero in deambulazione libera a gennaio e in dieci mesi sono passata dal bastone, al deambulatore alla carrozzina, neanche la mente si abitua. Non era ancora una carrozzina per davvero, nel senso che la usavo, poi mi alzavo. Era una fatica deambulatoria, come molti sperimentano. Nel 2017 mi sono stabilizzata, nel 2018 anche ma avevo già un'assistenza perché ho cominciato a non fare più le cose da sola, anche sopra, quindi avevo bisogno di essere lavata dagli altri. Non del tutto, quindi conservavo ancora un buon livello di autonomia e non troppi sintomi a corollario. Ma la sclerosi multipla è una malattia complessa, multifattoriale e purtroppo non è solo carrozzina. Non è quello che da fuori si vede e oggi sono in una forma avanzata con la mia, si dice, anzianità di malattia.

Con i miei quasi trent'anni ormai non ho più speranze di miglioramento perché la ricerca fa passi da gigante, ma li farà per i giovani, per quelli che oggi si affacciano alla malattia e non per forme come la mia, con casi come il mio.

E quindi come è una tua giornata oggi.

Una mia giornata oggi purtroppo è completamente non autosufficiente. Ho bisogno di assistenza continuativa h24 e nonostante questo lo faccia mio marito e lo facciano le varie assistenti pubbliche di mattina e private di pomeriggio - ne ho una privata che mi pago a spese mie e con l'aiuto della famiglia - questo non basta perché il corpo sta diventando sempre più inefficace, anche nei minimi gesti. Faccio un esempio: chiedo a Emanuela, la mia assistente del pomeriggio, quando mi gira sul fianco destro perché io non mi muovo neanche sul letto, non muovo più nulla, se mi stende le dita, perché vado in spasticità. Gli spasmi serrano le dita come se fossi un uccello, ti faccio immaginare un'aquila e lei mi divaricate le dita. Questo accade con le gambe a carico dei movimenti inconsulti, con dei cloni, che sono delle vibrazioni parossistiche nel corpo, dei riflessi parossistici. Quindi ho degli dei fenomeni che non sono assolutamente riconducibili alla carrozzina. È la spasticità che è arrivata a una forma severa. Non la posso curare con i farmaci indicati perché sono epilettica e il primo farmaco indicato è epilettogeno. Ho anche una forma di fatica neurologica che mi condanna ogni giorno a letto per 4 ore circa. Non dormo in quel momento, è una rallentata conduzione nervosa, è come se mi spegnessi. Oltre a ciò, non è che prima o dopo sia brillante. Quando mi alzano, quando la mia assistente mi alza al letto, mi fa fare pipì, mi mette in poltrona perché io vado movimentata ovunque, non è che io sia brillante, ho bisogno di essere aiutata. Ho un leggio, non leggo più i libri di carta da otto anni, dal 2016. Ho un kindle, mi aprono il kindle, sento i miei podcast e leggo i miei articoli perché sono una persona immersa nel mondo, ma la fatica è tanta. Più di mezz'ora non riesco a stare, è come se fossi una persona molto, molto, molto, molto anziana che continua a peggiorare. È chiaro che non è più il peggioramento di una persona che cammina e va in carrozzina. Oggi lo vede chi mi assiste, forse da fuori si vede un po' meno. Tra l'altro ero mancina, usavo l'altra mano e l'altro braccio. Sono stati i primi ad andarsene perché l'ultima ricaduta - si chiamano ricadute gli attacchi alla mielite, il sistema nervoso, che ci condannano nella prima fase di malattia - l'ultima ricaduta che ho avuto, una mielite dorsale, ha colpito tutta la parte sinistra del corpo. Era quella più sana ed ero mancina, quindi il braccio sinistro se n'è andato. Da tempo sono triplegica ufficialmente, ma in realtà nei miei referti scrivono tetraparesi perché quello è oltre la tetraparesi, oltre alla totale non autosufficienza, ci sono questi fenomeni, gli spasmi, i cloni, la notte puoi avere gli spasmi tutta la notte, che ti danno anche dolori. E poi ci sono le complicanze, le infezioni. In questo momento, mentre parlo, ho un'infezione urinaria per cui devo essere cateterizzata tre volte al dì. Ho dei disturbi, ho l'intestino neurologico, quindi doppia incontinenza fecale e urinaria e ieri sono stata manovrata nel mio letto con la traversa, con la badante che mi aiutava - devo dirlo, perché bisogna far capire cosa è la disabilità - nei miei escrementi.

Voi pensate come si possa sentire una persona paralizzata, completamente paralizzata, che sta distesa e le fanno qualcosa sul corpo, che altrimenti non riuscirebbe a fare da sola.

Io non riesco a svuotare la vescica. Francamente non riesco più a svuotare l'intestino. Non è solo il non camminare. Sto perdendo il tronco. Tu respiri, vivi, vedi la natura, ma è un continuo chiedere aiuto. Ma non è solo chiedere aiuto, io vorrei che gli ascoltatori capissero che non è solo un fatto di orgoglio, ma è un fatto di vita. Voi pensate di essere così, non un giorno, perché se stai male hai un'influenza, una polmonite, solo una complicanza. Io sono così tutti i giorni, tutto il giorno, tutte le settimane, i mesi, e lo sono in progressione. Non è una condizione umana. Soprattutto io oggi ho 49 anni. Posso dire che di sei mesi in sei mesi, forse adesso anche meno, il mio corpo cambia. Si modifica, ovviamente in peggio. È come se si accartocciasse. E tu come ci arrivi a 50, 55, 58 anni. È questo che ti porta a voler avere una porta aperta. A voler pensare: io voglio uscire da questa vita, non so quando, ma voglio uscire prima o poi, o perlomeno essere libera.

Prima hai fatto riferimento al fatto che devi spesarti da sola le badanti, hai anche tuo marito che ti dà che ti dà una mano. Avete questa relazione che è molto particolare, che tra l'altro tu spesso spesso racconti anche sui giornali perché tu sei una giornalista. Vorrei innanzitutto chiedere se vuoi raccontare qualcosa di come si è evoluta la storia con tuo marito, che è sempre rimasto al tuo fianco in tutti questi anni, ma anche un parere sul mondo della sanità, su come tu sia stata aiutata dalla sanità pubblica, su chi ha provveduto a darti una mano.

La prima precisazione, ovviamente dicono 'questa come fa a fare la giornalista'. Io ero giornalista in una vita precedente, adesso sono blogger e scrivo di me e di Stefano e della malattia che ci accompagna su Vanity Fair, ho una rubrica quindicinale che è "Io, Stefano e la sclerosi multipla", invito a leggerla perché dà molto anche ai lettori. Ma io non la scrivo, ovviamente io detto vocalmente perché non potrei. E il rapporto con Stefano. Io e Stefano ci siamo conosciuti sul lavoro. Galeotta fu una conferenza stampa. Lui è il regista e produttore video, Stefano Massoli, e io ero un giornalista, all'epoca una collaboratrice, cronista di primo pelo in gavetta pura e piena di incarichi, però quella che si consuma le suole delle scarpe. Ci siamo trovati in un ambiente comune ed è stato uno scegliersi al volo. Un colpo di fulmine. Io gliel'ho detto subito che ero malata e lui non si è tirato indietro, anche perché ha avuto già delle storie di famiglia. È un uomo sensibile, è ovvio, non sto a dirlo come cambia il rapporto di coppia. Lui oggi è mio care giver. C'è una parte che ovviamente non c'è più, ma più che quello mi dispiace vederlo, lui mi dice 'la nostra malattia' e questo molto bello mi commuove, ma se lo lascia scappare nei discorsi. La nostra malattia e questo è bellissimo, veramente ti fa capire che l'amore è veramente 'in salute e' in malattia. Per ciò che riguarda il welfare e la sanità, una precisazione: non è che sia tutto a carico mio, assolutamente. E tra l'altro io godo di una piccola sovvenzione Inps per pagarmi la badante privata. Le assistenti mattutine sono frutto delle ore di assistenza Asl, quindi io non posso lamentarmi in alcun modo, perlomeno nella mia regione, che è l'Umbria, della rete di welfare di cui godo. La rete sociosanitaria non vorrei dire che è ottima adesso perché stiamo tutti un po' con le casse che piangono, però è buona, è una buona rete sociosanitaria e quando c'è un malato grave fanno quello che possono. A livello di cure ospedaliere, hanno provato veramente tutto. Io devo dire sono una persona caparbia. Fino all'anno scorso facevo qualche stranissima e spastica vasca a nuoto, ma anche a rischio annegamento. Adesso non posso andare in acqua, se no chiaramente annego: o mi porta una bagnina o una fisioterapista che mi fa fare una terapia un po' per movimentarmi in acqua e mi dà sollievo. A livello di cure abbiamo provato tutto, la famosa escalation terapeutica: dall'interferone agli anticorpi monoclonali, agli immunosoppressori, ai chemioterapici sistemici, a quelli selettivi. Adesso sto con un deflettore delle cellule B, chi è a Genova, chi è malato di sclerosi si intende di queste cose. Voglio dire che io i tentativi li ho fatti tutti, tutti e mi hanno offerto ogni tipo di cure. Sì, la riabilitazione è parificata a una cura nel caso della sclerosi e io l'ho sempre fatta, continuo a farla immobilizzata nel mio lettino, ma continuo a farla.

Chiaramente l'obiettivo oggi non è neanche non peggiorare, è non peggiorare troppo velocemente.

Però questo è il risultato. Per ciò che riguarda altre cure, sto pensando per esempio alle cure palliative perché è una domanda, un interrogativo che viene spesso fatto in tema di fine vita. Allora io devo dire che ne ho parlato anche in sede di commissione medica quando ho fatto richiesta di suicidio assistito, secondo la sentenza 242 del 2019, Corte Costituzionale, la famosa sentenza Cappato. Viene una commissione medica a visitarti. Abbiamo fatto tutto dopo numerose diffide perché ci sono stati dei ritardi. Quindi io ero sostenuta dai legali dell'Associazione Coscioni, Filomena Gallo, il nostro segretario, nonché la nostra avvocata di punta. Mi è stato offerto, ma in modo molto genuino e accorato, anche il tentativo di fare cure palliative. Io ho spiegato ai medici presenti che la mia malattia non si avvantaggia delle cure palliative perché io non sono un'oncologocica, non soffro di dolore di quel tipo, non soffro ancora di dolore neuropatico centrale che potrebbe essere, sto facendo un discrimine un po' tecnico, l'unico che si avvantaggia delle cure palliative. Soffro di dolori molto forti, localizzati, dolori posturali, muscolari, tendinei, anche neuropatie periferiche. Ma, questo è un po' tecnico da spiegare, non c'entrano nulla le cure palliative. Quindi chi mi dice perché non fare le cure palliative? Non c'entra nulla. C'è anche da dire che la mia malattia non coinvolge le funzioni vitali per cui, ripeto, non sono come un malato oncologico che ha ben altri bisogni. C'è anche da dire che le due cose, questo parlo poi a livello politico, io sono anche consigliera generale dell'Associazione Luca Coscioni, sono diverse. Le cure palliative non è che siano una alternativa, un aut aut al fine vita, al suicidio assistito o all'eutanasia legale, laddove è consentita in altri Paesi. Ci sono persone come me, mi vedete come sto, che possono voler dire basta senza bisogno di cure palliative. Tra l'altro aggiungo, io per esempio con gli oppiacei avrei enormi problemi con l'intestino neurologico. Ci manca solo che mi metto a fare gli oppiacei, tra l'altro non vorrei neanche perdere lucidità. Prendo un sacco di farmaci, sono anche epilettica, ma io ho un quadro clinico che proprio esclude le cure palliative. Sono a un altro argomento. Quindi credo che ridurre il tema del fine vita alle cure palliative sia una semplificazione veramente da ignoranti. Ci devono essere, ma non sono la stessa cosa.

Si deve avere una porta aperta, magari è giusto offrire il ventaglio completo a un malato grave. Credo che se giusto voler vivere finché si vuole vivere, questo lo dico perché io sono una persona che ama la vita. Chi mi conosce lo sa. Ma non sono due alternative che si escludono, l'una può non soddisfare l'altra, l'una può non soddisfare per nulla un malato, quindi è come se mi piace la macedonia e mi chiedi 'perché non prendi la crostata?' Non c'entra nulla, non c'entra nulla, non c'entrano nulla.

A me sono state offerte da una persona molto gentile, una persona che lavora all'hospice di Perugia, quindi bene esperta. Lei non aveva casi di sclerosi, ma siccome non c'entravano nulla ho declinato la proposta. Un altro medico, perché eravamo in commissione medica, che era lì con me e le ha detto 'Guarda che Laura non ne ha bisogno'. Quindi questo è stato detto in commissione medico legale in quella fase di accertamento. Se un altro medico le ha detto 'guarda tranquilla, vedi com'è lucida Laura, non ne ha bisogno', fa capire che sono due temi diversi, complementari, completamente diversi, che non si escludono l'un l'altro.

Hai parlato dell'Umbria di Perugia, ma è anche nominato la Liguria e Genova, una città a cui tu sei molto legata. Mi racconti qualcosa di Genova, della tua esperienza genovese?

Ecco che in una intervista a tema fine vita mi metto a piangere proprio parlando di Genova, o di Zena come la chiamate voi. Genova per me... Ma se ci penso mi metto a piangere - scherza -. Io appunto, ebbi il primo approccio con Genova con l'associazione sclerosi multipla, quindi andavo a Sampierdarena, mi prendevo tre treni al mattino per arrivare e collaborare con la squadra. L'Associazione cambia la vita dei malati, la raccomando. E lì conobbi la città, che peraltro avevo conosciuto già da turista, da piccola, da giovane, da sposata. Però vederla mentre lavori, passare coi treni accanto alle coste, farti il tuo giretto al Porto Antico o in corso Italia, a Boccadasse, in piazza De Ferrari, prenderti un aperitivo con un'amica. Ho molti amici a Genova. Poi sono diventata la persona malata che andava a Genova, perché per un tratto della mia vita con Stefano mi ha curato, o meglio mi ha trattato il San Martino, che ha una neurologia di eccezione. E poi c'è stato Fabrizio. È successo in tarda età, lo ammetto, però Fabrizio forse si sposa con le corde di un animo, di una persona non dico che soffre, ma che scende sino in profondità. Ho scoperto il mio De Andrè che è la mia tachipirina per l'anima, quindi nelle ultime volte faccio un passettino magari a trovare gli amici ma andiamo con Stefano in via del Campo. Mi vado a trovare la mia amica Laura Monferdini del Museo di via del Campo 29 Rosso e mi vedo le zone di Fabrizio. Ho un forte legame con Genova e ogni volta che sento qualcosa che riguarda Genova in negativo mi strazia. Io non so se e quando farò il fine vita, non lo so, ma so che io vorrei tornare a Genova prima.

E visto che appunto stiamo parlando di fine vita, io ti volevo chiedere come è stato maturare questa decisione. Quando è successo? È stato improvviso o qualcosa che hai capito nel corso del tempo?

Allora devo dire che io sono sempre stata attaccata ai temi del fine vita, li ho sempre seguiti perché avevo questa malattia ma anche per un'impostazione culturale quando ancora stavo benissimo, ero già diagnosticata ma nuotavo master a nuoto, nuotavo cinque chilometri. Quindi ecco, questo per capire com'è la malattia, no? Però ho seguito le vicende di Beppino Englaro e di Euana. Poi le vicende di Marco Cappato, con dj Fabo. Ero persona laica, legata a questi temi, ai temi dell'autodeterminazione. Scrivevo già articoli e poi sono uscita fuori. Con il referendum per l'eutanasia legale, con la raccolta firme ho scritto agli amici dell'associazione, gli ho detto 'posso fare qualcosa perché vedo che non ne parlano i media, non abbastanza'. Quindi abbiamo offerto la nostra storia io per la persona malata e Stefano, ed è iniziata una un'amicizia, una sinergia, una squadra. Ho delle persone meravigliose in Coscioni. E poi è successo che è stato bocciato il referendum. O meglio, non è passata l'ammissibilità, come ben sappiamo. Poi, per motivi tutti tutti da discutere. E io vedevo, era il 2022, che cominciavo ad aggravarmi. Nel senso, io mi aggravo sempre, però gli ultimi anni, facciamo dal 2020, poi 2021 e 2022 hanno segnato un passo.

Bocciato il referendum, io ho pianto tutta la notte.

Quella notte, quel maledetto 15 febbraio eravamo in una riunione con Marco, Filomena e loro tutti gli altri. Io ho detto che volevo fare la luce verde provvisoria in Svizzera perché ho sentito la clinica Dignitas soltanto, ripeto, per avere una porta aperta, perché voi immaginate per una persona al posto mio che valore ha avere una porta aperta?

Mi dice la clinica Dignitas che chi fa il semaforo verde - cioè ha un'autorizzazione a poter morire anche in futuro e tu puoi anche non usarla - che è una medicina, cioè ci sono persone con patologie non mortali come la mia o altre che fanno questo semaforo verde, questa luce verde provvisoria e non ci vanno mai. Questo per dire quanto è terapeutico il valore del non sentirsi in trappola.

Però questo ha un costo di parecchie migliaia di euro perché siamo in Svizzera, è privata. Quindi stavo in una riunione e parlavo con i nostri amici. E Filomena Gallo mi dice 'Laura, scusami, ma tu che ancora non hai questa intenzione può permetterti di aspettare. Ma non lo sai che esiste anche una strada italiana per poter provare a ottenere questo diritto?' E io, proprio perché potevo permettermi di aspettare, ho detto va bene Filomena ti seguo. Lei mi ha prospettato una strada lunga, incerta, ma che non aveva costi. Al momento ero tranquilla e ho detto sì, voglio farla, anche perché voglio fare una battaglia per l'associazione e lì abbiamo iniziato. Non ci saremmo mai aspettati che mi sarebbe arrivata la risposta definitiva dopo oltre un anno e mezzo e mi chiedo sempre, e da qui l'azione legale, la denuncia e tutto: ma se io fossi stata veramente in condizioni di voler morire chi aspettava un anno e mezzo? Non ti passa un giorno. Io ho dei giorni in cui non mi passa un giorno già adesso. Questa è la situazione indegna che c'è in Italia. A questo porta il non avere una legge. Per questo stiamo cercando di fare delle leggi nelle Regioni, per migliorare la vita, perché non si può non avere risposta. E quindi da lì è nata la mia voglia. Confesso che anch'io all'inizio ho letto richiesta di suicidio assistito e mi sono sentita un po' straziata. Era il 2022, stavo molto meglio di adesso. La malattia si è aggravata e non è più una lotta di principio. Assolutamente voglio poter morire. E se tu mi chiedi quando, io temo, rispetto la morte. Dire che non si ha paura della morte è folle? Forse sì. O forse è frutto di disperazione. A tutti fa paura la morte, ma ci fa paura più forse la sofferenza. Una una vita senza vita, una sofferenza peggiore della morte.

Adesso proseguirei con con un altro racconto che è quello della reazione delle persone intorno a te. C'è qualcuno che ha provato a farti cambiare idea oppure l'hanno accolta tutti e hanno rispettato la tua scelta?

Nei mesi della dell'attivismo per la raccolta firme e il referendum, quando erano le prime volte che uscivo in pubblico, sui social, ricevevo messaggi allucinanti di persone che mi dicevano 'come ti permetti? La vita è sacra' e non ero pronta, quindi ricevevo ondate di queste cose accanto però a commenti di persone che mi sostenevano. Pian piano i commenti, anche dei detrattori, chiamiamoli così, sono diventati a volte messaggi di persone che mi dicevano 'sa cosa? Io sono cattolico osservante, non farei mai una cosa del genere. La vita è sacra, eccetera eccetera. Ma io ho una cugina con la SLA e ho visto quanto agghiacciante quella malattia. Quindi sa che c'è? Sono d'accordo con lei'. Mi facevano dei regali immensi. Non sono tanto gli amici, ma ma queste persone che ti fanno dei regali immensi. Lato famiglia. Con mio marito è stato molto difficile all'inizio. All'inizio divagava, si prendeva in giro, 'si vabbè, ti ammazzo io', si vedeva che si girava dall'altra parte, ne soffriva.

Poi abbiamo cominciato a fare gli attivisti insieme e poi è successo quello che è successo, cioè le sofferenze che io ho, e quindi mi dice 'Senti, io sono con te, non m'importa niente, basta che tu mi dica io ho deciso'.

Questo è quello che mi dice oggi, oltre all'entusiasmo, perché è un coscioniano anche lui. Abbiamo maturato insieme questa cosa. Ma dovete capire che dietro a queste chiacchierate, chiamiamole così, ci stanno lacrime, ci stanno spasmi, ci stanno 'amore sto male', 'cosa posso fare per non farti star male?', 'vorrei stare nel tuo corpo'. E io che sto nel letto, lui che mi asciuga le lacrime, oppure mi pulisce le feci o mi raccoglie le urine o mi blocca gli spasmi o non può lavorare per me. È terribile questa cosa. La famiglia io tendo metterla molto al riparo, ho i genitori molto anziani. Mi vedono, mi hanno letto ovunque su Repubblica, sulla Stampa e sono orgogliosi di me perché vedono che scrivono di me, leggono i miei articoli, non fanno commenti. Io so che culturalmente sono a favore, l'ho sempre saputo. Eravamo insieme a vedere Eluana Englaro per dire un altro caso. Mia madre so che soffre molto, però so che è contenta, non vede l'ora di vedermi nei documentari che sono prodotti su di me. Mi legge assidua. Dopo di che è mia madre, che deve dire, deve fare salti di gioia? E mia sorella, mia nipote idem. Ma questo è il nucleo ristretto. Gli altri parenti telefonano a Stefano, i miei affini, cioè mio cognato e loro dicono 'abbiamo visto Laura in tv', e poi silenzio. Cala un silenzio eloquente. Le mie cugine, le mie zie e i miei zii dicono 'Laura, noi lo sappiamo che tu stia facendo questa battaglia'. Dopo di che, se tu fai quel passo dovrai salutare un po' di gente. Ma io credo che prima di arrivare a quel passo lo si capisca le persone che ti stanno vicine, che ti stai aggravando. Non è che uno dice 'mi sono svegliato stamattina, mi ammazzo'. Questo è ridicolo, questo è una narrazione cinematografica. Succede che tu ti aggravi talmente tanto... Ma immagino che le persone lo sanno, non sono stupide. A volte ho avuto bisogno di dire a delle amiche, delle conoscenti non troppo intime, 'guarda che io sto facendo una battaglia legale per i diritti, non sono miei, ma di tutti'. 'Laura tranquilla, io lo so chi sei tu, quanto ami la vita. Solo uno in malafede può non vederlo perché si vede a chilometri di distanza'. Le persone mi capiscono, l'attaccamento è chiaro, fa parte di tutti. Diciamo che più che dire 'ho la speranza che Laura non muoia mai' mi dicono 'ho la speranza che tu stia decentemente bene'. Non ho mai sentito dire qualcuno 'non è che tu fai quella mossa eh?', non l'ho mai sentito dire. Queste sono emerite cavolate, per non dire altro in televisione. Ci sono persone che capiscono.

Prima hai detto una cosa secondo me vera e importante da capire. Hai detto che tra le persone che ti mandano dei messaggi di conforto c'è anche chi è cattolico. Tra l'altro è una battaglia che in questo periodo è stata sostenuta anche da personalità di spicco del centrodestra per esempio Toti in Liguria, per esempio Luca Zaia in Veneto. Quindi forse questo argomento che un tempo era più politico, adesso forse ha perso questa connotazione politica, religiosa e il problema, quello che che frena a volte le persone è un tabù della morte.

Allora questo sì, assolutamente bisogna dirlo, è preziosa la domanda che mi hai fatto. Intanto devo dire che una mia grande amica, che ho avuto modo di conoscere grazie all'associazione è Mina Welby, vedova di Piergiorgio e Mina è osservante e cattolica. Con Mina ci facciamo delle grandissime chiacchierate. Penso che prima o poi i nostri audio ce li salveremo come podcast. È una mente brillante e nonostante l'età e si scherza mi dice 'tu e Stefano siete come me insieme a Piero, siete una coppia vincente'. Ci vuole bene e questo, per dire, è Mina Welby. Cattolica osservante. Ma a parte lei questo noi lo diciamo da svariati anni. Certo, c'è parte della Chiesa che non ammette questa cosa. Ma ci sono tantissime persone cattoliche che hanno firmato per il referendum, noi non abbiamo mai visto tutti questi steccati presunti che ci stanno da una parte all'altra e abbiamo sempre pensato, abbiamo visto che forse era una cosa più da Vaticano, da gerarchie vaticane che da vissuto della gente. Stessa cosa la politica. Lo stesso Luca Zaia mi ricordo nel servizio andato in onda su Mediaset, che c'ero anch'io, si parlava di Veneto e diceva 'io vorrei poter essere libero, secondo me la libertà del singolo va rispettata'. Giovanni Toti In Liguria, aspettiamo tutti la Liguria e l'aspetto anch'io, con tanta ansia e aspettativa di fiducia. Questo è una dimostrazione del fatto che non è una questione politica. È una questione umana è una questione di vita. Vorrei far capire prima di tutto che è una questione non di morte, ma di vita e di libertà. Allora, avete capito come sta una persona come me?

Pensate una persona come me che si sente in trappola, che non ha scampo, non ha alternative, non ha alternative terapeutiche, non ce l'ha. Sta solo peggiorando e non ha scampo, può solo peggiorare. È giovane e la malattia non è mortale. E se per caso qualcuno l'aiuta a morire in Svizzera o altrove - che poi non è una cosa che auspico perché alienante e faticoso, ha un costo, non è per tutti - e quella persona viene mandata in carcere. Secondo me questa è una tortura, è di una crudeltà allucinante.

Perché questo accade, perché i politici non si occupano di fine vita? Perché, come dici tu, c'è il rimosso della morte. La gente normale - ed io lo capisco perché anch'io una volta non ero così, pure malata non ci pensavo - non è che stanno a pensare all'idea della morte, magari con altre emergenze di carattere più vasto. È un tema spinoso, questo lo ammetto, è un tema che si incrocia con la bioetica. È scomodo affrontarlo. Io non ho vissuto gli anni di Pannella, dell'aborto, ma credo che qui siamo in un tema ancora più di frontiera. Quindi tu lo lasci là e non rompi le scatole a nessuno. Non rompi le scatole alla Chiesa, alle gerarchie vaticane, non rompi le scatole a quelli che non vogliono sentire la sofferenza, perché c'è anche gente che non ha empatia. Però tutti gli altri, e sono la maggioranza che hanno avuto un malato in casa, che hanno una patologia, che hanno avuto un incidente stradale e sono completamente paralizzati, anche chi ha avuto una storia di famiglia banale: tutti sono a favore. Cioè se tu gli vai a chiedere magari dicono ' per me bisogna pensarci' e tu li guardi negli occhi e chiedi 'ma la tua vita a chi appartiene?' dicono 'no, ma la mia vita appartiene a me'. Quindi vedete che il tema in realtà è trasversale, è universale, è umano. Si tratta di libertà. Dopodiché se io sono cattolico o meno, sono libero di non farlo. E questo poi, volendo proprio parlare a un cattolico, direi che è un fatto anche di pietas per un uomo che soffre.

Abbiamo parlato di fine vita, abbiamo parlato del tuo percorso. Io, come ho fatto anche nelle altre interviste di questo reportage, ti faccio una domanda molto personale. Volevo chiederti che cos'è per te la morte, che cosa rappresenta.

E qualcosa di cui ho molta paura. È il niente, la vita è tutto e la morte niente. Io non credo e penso che dopo non ci sarà più niente. Ma anche se dubitassi c'è qualche Dio, poi in realtà sono agnostica, ho la sensazione a pelle che dopo non sarò più. L'io, la coscienza, 'l'io sono' se ne andrà e quindi so che se avessi questo pezzo di carta in mano che mi dice tranquilla, sei gravemente malata, sei libera di fare quel passo, prima di farlo me ne guarderei benissimo, anche se sto peggiorando. Perché poi non si torna più indietro. E forse mi aiuterebbe ancora di più. Non ho bisogno di essere caparbia di per sé, per essere capace di questo, ma mi aiuterebbe ancora di più.

Non la sto buttando via la vita. Sto desiderando di poter morire. Mi consentirebbe di non pensarci più. Mi consentirebbe di vivere la mia malattia, di affrontare tutto se sarò allettata, sto perdendo il corpo, vengono le complicanze, i dolori. Ieri c'era un bellissimo sole e io stavo in un letto di escrementi pulita dalla mia badante, paralizzata. Fuori c'era un sole, un tramonto bellissimo e questa è vita. Con la morte non c'è più neanche quello.

E io lo so, lo rispetto, ne sono cosciente. Ho 49 anni, quasi 50. Vi prego di capire che io sono lucida, ma questo non significa che non stia male e stare male come me... Tu devi essere libero perché se ti senti anche in trappola è la fine, la fine. Quindi la morte è un passaggio da cui non si torna più indietro. Io ne sono molto cosciente, la rispetto molto, ma voglio poter essere libera.

Volevo chiederti infine se vuoi lanciare un appello al mondo della politica, se volevi chiedere qualcosa, stimolare ancora di più la nascita di una legge. Adesso, appunto, in Liguria si sta andando verso una legge regionale. Però il grande assente forse è una legge nazionale.

Il grande assente è una legge nazionale. Vorrei però invitare la maggioranza di Governo, dato che i sondaggi hanno detto che anche l'elettorato di Fratelli d'Italia o di altri partiti a trazione di centrodestra sono per il fine vita: affrontate questo tema. Da persona non dipendente da trattamenti di sostegno vitale in senso tecnico, cioè macchinari, terapie salvavita, eccetera perché soffro di sclerosi multipla, che è una malattia che tradizionalmente non non include i macchinari tranne in alcuni casi: fate un disegno di legge, perlomeno mettetelo ai voti e superate anche la sentenza Cappato che abbisognava di una legge quando fu emanata nel 2019 per essere integrata. Quei requisiti per accedere - per questo mi hanno dato il diniego, perché non ho i trattamenti di sostegno vitale - quei requisiti erano ritagliati sul caso specifico di dj Fabo, Fabiano Antoniani, che era appunto dipendente da macchinari. Superate questo discrimine perché i pazienti oncologici gravi che soffrono crudelmente, con una crudeltà immane, o persone come me e che non dipendono da trattamenti di sostegno vitale, perché sono esclusi?

E quindi vorrei dire: questo tema non consideratelo più di sinistra o politico, considerato trasversale, affrontatelo ove possibile, mettetelo ai voti ove possibile, superate il discrimine del quarto criterio della sentenza della Corte Costituzionale, cioè i trattamenti di sostegno vitale, perché è veramente una tortura e una beffa nella tortura.

Per gli amministratori locali, se proprio non è possibile avere una legge nazionale. Regioni italiane. Mi rivolgo alla mia Umbria che pare che dorma, ma anche tutte le altre, alla Liguria in questo caso e io sto facendo il tifo per la Liguria: migliorate i tempi, le procedure per i malati che facciano richiesta e ne abbiano diritto, perché così è una tortura.

 

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