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Sport

Il genovese è il primo atleta paralimpico italiano nella storia del nuoto a vincere tre ori in tre edizioni diverse dei Giochi
5 minuti e 43 secondi di lettura

GENOVA - "Non mi aspettavo di vincere la mia quarta medaglia d'oro alle Paralimpiadi di Parigi ma di certo è la vittoria più bella perché condivisa con mia moglie Camilla e mio figlio Daniele, il messaggio più importante di una medaglia è che nonostante la fatica si decide di andare avanti perché ognuno può tirare fuori il campione latente che è in lui ma serve tanto impegno e tanta costanza". Così il nuotatore genovese Francesco Bocciardo, nato con una diplegia distale spastica, a 'People - Cambia il tuo punto di vista' dedicato alle storie dei campioni paralimpici.

A 30 anni lo scorso 29 agosto a Parigi ha vinto il suo quarto oro alle Paralimpiadi, nella sua categoria prediletta, i 200 stile libero, diventando così il primo atleta paralimpico italiano nella storia del nuoto a vincere tre ori in tre edizioni diverse dei Giochi, dopo Rio 2016 (400 stile libero) e Tokyo 2020 (200 e 100 stile libero), quando vinse anche un argento, nella 4x50m sl, stabilendo il nuovo record paralimpico con 2.25.99. Il suo palmares vanta anche 13 podi Mondiali, con 7 ori, e 15 europei.

Bocciardo è entrato nella storia dei giochi paralimpici ma come sempre racconta la sua storia e la sua soddisfazione con estrema umiltà e disponibilità che ne fanno anche un campione nella vita.

"Sapevo che il livello sarebbe stato altissimo però sapevo anche che sarei dovuto scendere in acqua e fare quello che ho sempre fatto ossia nuotare tenendo il ritmo, tenendo il passo - racconta Bocciardo - e così ho fatto poco per volta ho rimontato la prima vasca ero quinto, la seconda ero terzo, alla virata della terza vasca ero secondo e poi dalla quarta vasca sono salito e sono arrivato primo e ho mantenuto questo vantaggio, con questa vittoria rimarrò nella storia perché non soltanto sono riuscito ad essere il primo italiano uomo a vincere per tre edizioni di seguito l'oro alle Paralimpiadi e quindi questa è una cosa di cui mi posso vantare e poi oltre a essere arrivato primo in più sono anche riuscito a fare il record paralimpico nella distanza di 200 metri stile libero quindi è stata una gioia ancora più bella e poi è stato anche veramente super emozionante perché per la prima volta sono venuti a vedermi mia moglie Camilla, che a Tokyo avrebbe tanto voluto venire a vedermi però per via del Covid non ha potuto, e anche il piccolino Daniele che quando me l’hanno messo in braccio dopo aver vinto la medaglia era parecchio arrabbiato però la prima cosa che ha fatto è cercare di prendere la medaglia (ride ndr)".

Bocciardo racconta poi dell'enorme affetto che ha sentito e ricevuto dai liguri ma non solo: "Dopo la gara avrò ricevuto una cosa come 1500 messaggi di gente che mi diceva complimenti e bravo, i miei colleghi che addirittura si erano messi tutti assieme a vedere la gara ed è stato veramente una cosa incredibile perché poi quando sei in acqua uno il tifo non lo sente però quando esce, ma soprattutto gli istanti prima di entrare in acqua, sapere che non sei da solo, sapere che quegli ultimi metri per le quali lotterai non è una cosa che fai soltanto per te stesso ma lo fai anche per gli altri ti rende veramente felice".

Ma cosa si pensa negli istanti prima di scendere in acqua per una finale paralimpica? "Ho cercato proprio di fare tabula rasa, mi sono detto cerchiamo di non pensare a nulla come mi era già capitato in altri momenti in cui non ero sicuro di riuscire a vincere, sapevo che il mio corpo e i centinaia e migliaia di chilometri che avevo fatto fino a quel momento lì erano focalizzati solo per quelle quattro vasche, per quei due minuti e 25 da fare nel minor tempo possibile quindi ho cercato comunque di pensare a tutte le cose positive, ho pensato di dirmi o la va o la spacca e tra meno di tre minuti sarà tutto finito che vada bene sia che vada male e poi sono entrato in acqua".

Il vero campione lo si riconosce anche quando Bocciardo si ferma nel raccontare per sottolineare quanto la sua vittoria non sia individuale ma di un gruppo unito: "Si parla tanto della figura del campione però non è soltanto merito suo è merito di tutto un team, dell’aspetto psicologico, per esempio, se non avessi avuto il mio mental coach, la mia nutrizionista, oltre ai miei allenatori ovviamente questa preparazione a 360° non avrei raggiunto la medaglia e magari non sarei riuscito nemmeno ad arrivare a Parigi".

Una carriera straordinaria che non è stata sempre semplice: "Soprattutto all’inizio dopo Londra dove non ero entrato nemmeno in finale è stato difficile, però anno dopo anno sono riuscito a migliorare e sono anche cresciuto da un certo punto di vista psicologico per uscire ad affrontare meglio le gare, è stato un percorso lungo e intenso e non nego che qualche volta ho pensato anche di smettere".

"Le fatiche ci sono sempre ovviamente se una persona ha una disabilità magari alcune sono più palesi però in generale anche i cosiddetti normodotati hanno le loro da affrontare quindi non abbiate paura, come amo sempre dire, magari per la tua disabilità non potrai fare tutti gli sport ma nel bellissimo mondo paralimpico ci sarà sicuramente uno sport che tu potrai fare quindi perché non provare".

"Io sono quello che sono grazie anche alla mia disabilità, ho imparato a essere più attento ai bisogni degli altri e se tutti fossimo più sensibili vivremmo tutti meglio - spiega Bocciardo - secondo me noi siamo esattamente in parte quello che ci accade nella vita e principalmente per l’altro 80% per come noi reggiamo alla vita, io ho avuto una disabilità che ovviamente ha fatto sì che fossi una persona diversa rispetto a quella che avrei potuto essere se non avessi avuto la disabilità però ho avuto la fortuna di avere dei genitori che comunque non mi hanno mai dato attenuanti, ho avuto la fortuna di essere testardo e tenace e quindi non mi sono mai arreso. Ci sono cose che senza la mia disabilità non avrei imparato per esempio la particolare sensibilità, sono per certi aspetti più attento a certe cose, se noi tutti fossimo un po’ più attenti vivremmo meglio perché in una società in cui ognuno di noi riesce a mettersi nei panni degli altri e capire le difficoltà degli altri è in quel momento lì che secondo me si riesce a fare la svolta per rendere effettivamente la città, la comunità, la regione, il paese un posto più accessibile e in cui tutti vivono meglio".

L'ultimo messaggio per il figlio Daniele di 10 mesi: "Mi auguro che faccia sport e che impari a nuotare ma soprattutto vorrei fosse felice e magari scegliesse un altro sport per non avere sempre il confronto con il padre campione".

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