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Il commento
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Non una proposta forte, capace da sola di accendere gli animi. E neppure una polemica, uno scontro ai limiti del personale, magari anche oltre e però buono a marcare la differenza fra un candidato e tutti gli altri. Niente di niente. La campagna elettorale per la conquista di Palazzo Tursi si chiude all'insegna di una contesa che nei giorni e nelle settimane è andata avanti all'insegna di un fairplay molto fasullo.

La netta impressione, cioè, è che gli sfidanti quasi quasi non siano neppure degni di questa classificazione: mosci, persino imbelli, veri e propri abatini della politica. I loro programmi assomigliano tanto a dei compitini svolti con l'obiettivo di strappare una striminzita sufficienza. Quanto basta, intendo, per superare gli altri e andarsi a sedere sulla poltrona del sindaco di Genova. Per fare che cosa e come, poi si vedrà.

Questa tornata elettorale, insomma, sembra davvero adatta più a incidere sulle decisioni nazionali - come ha opportunamente scritto nel suo ultimo articolo Mario Paternostro - che a segnare un punto di svolta per la città. Che pure ne avrebbe tanto "di bisogno" per dirla in uno slang popolare, sgrammaticato e tuttavia tremendamente efficace.

Ci sono ampie premesse perché Genova non veda molto modificato il proprio futuro a prescindere da chi la spunterà. Giusto per dare un senso a tutta la vicenda, ci si potrebbe augurare che alla fine vinca Bucci, il quale potrebbe almeno garantire un po' di riossigenazione del sistema, assicurando quell'alternanza che a Tursi manca da anni e la cui assenza si è ben avvertita nell'immobilismo autoreferenziale dell'amministrazione uscente guidata da Marco Doria. E della quale faceva parte il candidato Crivello.

Sia chiaro, non è un endorsement a sostegno dell'alfiere del centrodestra. È una semplice constatazione, condita dalla curiosità di vedere come Silvio Berlusconi e gli yesmen di Arcore prenderebbero e gestirebbero l'ennesimo successo del governatore ligure Giovanni Toti. Sarebbe ancora possibile negargli il ruolo di prim'attore a Roma se infilasse la terza vittoria di fila, dopo le regionali e Savona?

Al di là di questi aspetti, va in archivio una campagna elettorale complessivamente povera. Che a suo modo segna la predominanza di uno scenario grillino, testimoniando cioè la decrescita di Genova. Solo che è assai poco felice. E proprio per questa ragione c'è comunque una parte non irrilevante di città ben decisa a vendere cara la pelle. Anzi, a battersi affinché torni a prevalere la crescita.

Il paradosso è che questa sia, almeno in parte, una reazione suscitata proprio dalla debolezza della politica e dei suoi candidati al soglio di Palazzo Tursi. I genovesi si sono infine fatti convinti che in assenza di un potenziale sindaco davvero leader e forte, una mano devono darsela da soli. E questa potrebbe rivelarsi la vera svolta.