Personalmente credo nella piena libertà di ciascuno di scegliere secondo i propri valori, secondo la propria coscienza, eventualmente secondo la propria fede, a quali condizioni vivere e a quali condizioni morire.
Il Parlamento discuterà nelle prossime settimane una legge sulla “dichiarazione anticipata di trattamento”: legge sulla vita e sulla morte, che stabilirà finalmente – ma troppo tardi per Eluana Englaro – quando e in che modo sarà consentito interrompere le terapie, l’alimentazione e l’idratazione. Ma ieri Eluana è morta mentre il Senato discuteva una norma-ponte in attesa di quella legge. Una norma che chiedeva di astenersi oggi da atti irreversibili, come l’interruzione dell’alimentazione e dell’idratazione.
Atti che – con il nobile intento di lenire il dolore, ma anche con il discutibile arbitrio di saperlo interpretare correttamente – gettano ponti assai fragili e instabili sul vuoto della legge. Come la sentenza di una corte di giustizia, che, al di là delle buone intenzioni, ha di fatto introdotto la possibilità, per il nostro sistema sanitario, di far morire di fame e di sete una persona non autonoma e gravemente disabile.
La norma-ponte era un male minore di fronte a questo insopportabile vuoto della legge e della politica, in fondo al quale appaiono inquietanti mostri. Ma in realtà era la politica che doveva approvare assai prima la “vera” legge. Incapace di ciò, avrebbe dovuto almeno rispettare il dolore e tenersene lontana, con buon senso e discrezione, evitando strumentalizzazioni, dimostrando il coraggio del dubbio e l'umiltà di fronte alla morte.
Oggi la politica è un calice che trabocca di dolore altrui. E questo ce la fa apparire insopportabile.
IL COMMENTO
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