GENOVA - Compie 80 anni il cardinale Angelo Bagnasco arcivescovo emerito di Genova. Ligure nell’animo e nella discrezione, ma non nel 'mugugno'. Non si ricorda una polemica o una parola fuori posto. Capacità di ascolto riconosciuta da tutti nonostante un'immagine spesso intransigente.
Per caso nato a Pontevico, nel bresciano, il 14 gennaio 1943 dove la famiglia era sfollata. Genovese doc, come papà Alfredo, che lavorava in una fabbrica di pasticceria e mamma Rosa e la sorella maggiore, Anna. Ordinario Militare per l'Italia nel 2003, nominato arcivescovo di Genova da papa Benedetto XVI il 29 agosto 2006 lo rimane per 14 anni anni. Dal 2007 cardinale e presidente della Conferenza Episcopale Italiana. L'8 ottobre 2016 è stato eletto presidente del Consiglio delle conferenze dei vescovi d'Europa, incarico mantenuto fino al 25 settembre 2021.
Il cardinale Bagnasco ha voluto ricordare i suoi 80 anni in un'intervista a Primocanale a 360 gradi: dal bambino Angelo che giocava felice tra le macerie della guerra in piazza Sarzano, agli anni della scuola, della vocazione tenuta inizialmente segreta per arrivare all'università nel 1968 frequentata già da sacerdote per decisione del cardinal Siri allo scout, passando per i tanti incarichi che il vescovo prima e il cardinale Bagnasco dopo ha ricoperto ai vertici della Chiesa.
Una vita dedicata alla Chiesa, in mezzo alla gente con l'esempio di sacrificio del padre.
Eminenza, auguri! Buon compleanno! Oggi forse deve un po' sforzarsi vista la sua timidezza..lei non ama molto parlare di sé, ma ci piacerebbe un po' raccontare qualcosa di più di lei. Come si definirebbe?
Sono un bambino che è nato in Lombardia e che è cresciuto a Genova, nel centro storico e ha giocato moltissimo nelle macerie dell'epoca che era il dopoguerra insieme ai propri compagni e quell'anima di bambino è rimasta dentro. Sono convinto che il bambino di un tempo è sempre dentro a ciascuno di noi, non muore mai e questo ci fa molto bene. Non per essere infantili, ma per non perdere una semplicità interiore e una capacità di sorprendersi che è tipica dei bambini. Poi si cresce negli anni, ma quel bambino originario non cessa.
E lei che bambino, che è ragazzino è stato?
Molto normale, figlio di persone molto semplici, laboriose, cristiane, il papà lavoratore indefesso. C'era solo il suo stipendio, come per tutti o quasi tutti all'epoca. Ero molto sereno, ringrazio Dio e i miei genitori perché la famiglia era il punto di riferimento fermo, assoluto, che dava molta sicurezza come deve essere una famiglia. E la parrocchia, che era il luogo alternativo della casa, facevamo i chierichetti, c'era la corsa per portare il turibolo, il candeliere e queste cose. E poi la piazza e i vicoli, la piazza Sarzano che è proprio attaccata alla chiesa di Sant'Antonio Abate, era per noi il ricreatorio, per noi bambini. Il vice parroco era spesso con noi, lo sapevamo che c'era insieme al parroco. Però noi eravamo molto, molto autonomi su questa grande piazza che c'è tuttora. Dove risiede l'antica chiesa del Santissimo Salvatore che fu bombardata dalla guerra e adesso attualmente è aula magna della facoltà di architettura. Nel 1939 mia sorella è stata battezzata lì e poi bombardata, quindi poi noi sfollati e in questa piazza, a noi bambini ecc.
Giocavamo come tutti i bambini a qualunque cosa, quindi dal pallone, dove io non sono mai stato molto bravo, alla trottola, al Giro d'Italia con le grette, guardie e ladri e via discorrendo, con le frecce fatte con le bacchette delle canne dell'ombrello. E da una parte in un angolo lavoravano due materassai, facevano i materassi, i cuscini e conoscevano bene noi bambini e ogni tanto il nostro pallone andava là in mezzo alla loro lana e dopo due tre volte ci minacciavano di bucarcelo con l'ago...(ride) E quindi questo è un po' l'ambiente dove sono cresciuto tranquillo. Ecco, ci lasciavano scorrazzare. Al pomeriggio compiti pochi e poi molto gioco. Ma perché non c'era nessun pericolo, non c'era certamente criminalità o pericoli di nessun genere, neppure le macchine che erano pochissime e in piazza non venivano e secondo c'era il controllo sociale, perché le mamme si conoscevano tutte tra di loro, questo controllo sociale era un ulteriore elemento di sicurezza, di tranquillità per le nostre famiglie.
Ognuno di noi ha una vocazione. Lei quando ha scoperto la sua?
Io ho sentito questa piccola luce della vocazione del sacerdozio nella scuola elementare, facendo il chierichetto all'altare come i miei compagni e vedendo così, da bambino, con gli occhi di un bambino, il mio viceparroco che stava con noi e che poi celebrava il parroco più anziano, celebrava la celebrazione delle funzioni liturgiche, la confessione, lo stare con la gente, eccetera. E non lo so, però questa cosa mi attirava, mi sembrava bella. E così, pian piano questa piccola luce l'ho tenuta segreta nel mio cuore, avrei potuto entrare in prima media perché allora c'era già l'ingresso in prima media, invece ho voluto attendere, non volevo staccarmi dalla mia famiglia, cui ero attaccatissimo. Ho detto faccio la scuola media e poi vedrò. Così è stato in una scuola pubblica mista con gioia e impegno. Alla fine della terza media, quella voce, quella piccola luce, quel desiderio era rimasto e quindi l'ho detto ai miei genitori che subito non erano molto contenti perché non se l'aspettavano, pensavano che facessi il ragioniere, perché nella scuola media c'era anche la ragioneria e il preside aveva detto alla mamma e al papà che dato che facevo bene se avessi continuato la scuola mi avrebbe aiutato perché i libri erano cari e i soldi erano pochi.
Poi è diventato sacerdote e ha studiato filosofia nel 1968 alla Statale, non era proprio un momento facile...
No, assolutamente. E' stata una decisione del cardinale Siri, lui mi ordinò con i miei compagni, mi mandò nella parrocchia di Santa Teresina d'Albaro, dove mi trovai molto bene e per trent'anni sono rimasto lì. Nel '68 mi chiamò e mi mandò all'università e mi disse fai anche l'università, rimanendo però in parrocchia come viceparroco e a distanza di anni mi sorprendo ancora di come il cardinale abbia deciso questo in un momento che era la rivoluzione culturale.
La contestazione globale è partita dagli Stati Uniti, è arrivata poi al maggio parigino del 68, arrivata poi in Italia dove c'erano contestazioni, barricate e aule occupate. Però anche questo mi è servito. Ne ho un ricordo tutto sommato molto positivo, riconoscente perché ho conosciuto situazioni e quei venti particolari dove c'era molta contestazione, molta utopia, però anche l'entusiasmo di costruire un futuro migliore. C'era anche una volontà di distruzione, specialmente delle istituzioni tutte le istituzioni, la famiglia, la scuola, l'università, la Chiesa, la politica, però c'era anche una voglia di ricostruire senza sapere bene come, però c'era questa tensione che a volte, in tempi più recenti non mi sembra di vedere.
Nella sua vita ha ricoperto moltissimi ruoli, anche molto importanti. Partiamo dal 2003 quando è diventato ordinario militare, in un momento non facile, mi viene in mente, per esempio, la strage di Nassiriya. Che cosa le ha insegnato quel momento?
Quel ruolo è stata un'esperienza molto importante per me: esperienza di vita, di uomo e di sacerdote, ma anche di cittadino italiano perché ho scoperto un mondo, quello militare, che non conoscevo affatto. Io non ho fatto il militare, tra l'altro sono stato riformato perché non era proprio in linea con gli standard fisici del tempo, ho scoperto un mondo di persone molto, molto buone, generose, dedite allo spirito di sacrificio, anche di grande umiltà. Molte volte, visitando dei feriti giovani da una parte o dall'altra dei vari teatri, come si dice nelle varie missioni, ho fatto fatica a farmi raccontare cosa era successo, ma non perché ci fosse qualcosa di strano, ma perché si schernivano dicendo ma io ho fatto solo il mio dovere, ero lì in quel momento. Sono stato in molte situazioni di tragedia e di grande dolore, durante i funerali di Stato ho conosciuto istituzioni, naturalmente, e questa è stata per me veramente l'apertura di un mondo importante non soltanto per l'Italia ma anche all'estero. Perché sono stato undici volte in Iraq allora, e poi altrettanti in Afghanistan e nei Balcani innumerevoli volte per le cresime e per le visite ai miei cappellani e alla gente. Ecco veramente persone che ho ammirato.
Poi, improvvisamente, diciamo così, è arrivata la chiamata per tornare a casa, per tornare a Genova, dove è rimasto 14 anni come arcivescovo, dieci anni anche presidente della Cei e in contemporanea, per un certo periodo anche presidente dei vescovi europei. Come è riuscito a mettere insieme questi incarichi così diversi e complessi?
Direi con l'esempio di mio padre, il quale non parlava molto, anzi direi poco. E non era però serioso, fuori casa sì, ma in casa era molto spiritoso, molto simpatico, molto caro. Ho sempre notato il grande spirito di sacrificio, di dedizione, di passione del papà nel suo lavoro, lui lavorava in fabbrica come pasticcere e a volte anche di notte, specialmente nei tempi di Natale di Pasqua. Credo che questo esempio suo, di grande dedizione e di umiltà, di grande spirito di sacrificio, in qualche modo mi è entrato un po' dentro. Ecco, io credo che sia questa la motivazione di fondo che mi ha permesso di obbedire alle richieste dei miei superiori e di mettercela tutta, come ho cercato anche di fare a scuola, di impegnarmi, di impegnarmi.
Gli impegni erano concomitanti e quasi sovrapposti, questo è vero, mi sorprendo anch'io a volte a distanza di tempo di come sia stato possibile questo intreccio. Però devo dire che ho trovato da parte della diocesi di Genova, sacerdoti in primis, e laici, molta benevolenza, molta comprensione, io non ricordo mai di avere sentito direttamente né indirettamente, una lamentela in questo senso: non c'è, non si occupa è distratto da altre cose, anche perché onestamente, se guardo me stesso l'intenzione, il desiderio, la volontà, il desiderio, l'affetto quando ero a Genova di esserci senza distrazioni, concentrato su la mia diocesi, che era la mia Chiesa, la mia famiglia, questo io l'ho sempre intenzionalmente avuto. Poi coi miei limiti, difetti, errori. Tutto questo non discuto, ma la mia intenzione, la mia volontà e il mio desiderio era questo. Quindi credo che questo abbia reso, insieme alla grazia di Dio possibile anche lavorare su fronti diversi che poi si completano.
Nei 14 anni in cui è stato a capo della diocesi di Genova si è trovato ad affrontare situazioni molto drammatiche, molto difficili. Dalle alluvioni, alla Torre Piloti al ponte Morandi. Qual è stato il momento più difficile?
Non si può fare una classifica, penso alla Torre piloti, poi alle due alluvioni e poi, appunto, alla tragedia del Ponte Morandi, che è stata la tragedia con il maggior numero di vittime, certamente, che ha lasciato tutti quanti sbigottiti, anche se a posteriori molti dicono che era prevedibile e quello direi è stato il fatto più macroscopico che ha tenuto all'attenzione ferma l'attenzione dell'Italia e non solo dell'Italia, quindi la questione del crollo del ponte Morandi. Ognuna ha un suo impatto indelebile nel cuore mio e di tutti e ho cercato sempre di fare il mio dovere di padre di Pastore, quindi di esserci raccogliendo qualche volta proprio tutto il dolore e qualche volte anche un po' la rabbia della gente che magari per la strada in mezzo al fango, eccetera mi mi rappresentava il problema, i dolori, le sofferenze, lo smarrimento. E sono contento e ringrazio il Signore perché ho potuto essere sempre vicino alla gente.
Alla fine del 2022 è morto Benedetto XVI, Lei ha avuto la grazia di conoscere e di frequentare non solo San Giovanni Paolo II, ma anche il Papa emerito e anche Papa Francesco. Come li descriverebbe?
In sintesi complementari tutti con lo stesso identico carisma, carisma che è quello petrino, ogni Papa deve servire al ministero Di Pietro, che è quello di confermare la fede di tutto il popolo di Dio, come risulta nel Vangelo. Quindi identici per questa missione che è importantissima, essenziale della Chiesa e ognuno naturalmente declinando Lei servendo questo questo ministero petrino con la propria personalità, le proprie sensibilità, ecc. Personalità che non nasce all'improvviso, nasce dentro il fiume della storia della Chiesa e quindi in qualche modo è aiutato ogni Papa proprio da questo fiume che si chiama la grande tradizione della Chiesa. Quindi, anche per questo motivo nessun Papa, pur essendo al vertice con delle decisioni da prendere, delle responsabilità grandi e gravi, però non è mai solo. Lui sempre il vertice. La sua parola è quella che è definitiva, però non deve sentirsi solo perché dentro questo fiume questa moltitudine di fatti, di santità, di martirio, di dottori della Chiesa, di popolo, di Dio, della fede, dei Padri, dagli apostoli fino ad oggi e questo è importante, ritengo che sia importante per un Papa, oltre naturalmente l'aiuto, l'affetto e il consenso del corpo episcopale, della comunità cristiana in generale.
Lei, per le sue posizioni anche nette, ha subito molte minacce e ha avuto la scorta. Come ha vissuto quel quel momento?
Subito con un po' di sofferenza e con un po' di meraviglia perché hanno scritto su alcuni giornali delle cose che io non ho detto e che non sono mai state ritrattate ufficialmente e chi di dovere è venuto a chiarire con me, a chiedere anche scusa in camera caritatis ma non c'è stata nessuna parola pubblica di ritrattazione scritta e questo mi spiace, pazienza e poi, certo, un po' di dolore c'era e un po' di smarrimento. La scorta è durata circa 15 anni in totale e io devo dire che ho potuto fare il doppio delle cose che che dovevo fare grazie anche proprio a questa scorta che mi aiutava, mi sosteneva nei passaggi, nei movimenti, in tutti i modi, con la simpatia, con la benevolenza, direi oserei dire con l'affetto. Perché poi con 15 anni si diventa direi fratelli e amici e quindi sono molto grato a tutti coloro che hanno fatto questo servizio.
Come ultima domanda non posso che chiederle che cosa si augura per questo suo 80esimo compleanno? Per lei e per la Chiesa.
Soprattutto per la Chiesa che cresca, nella fede, che si concentri sempre di più sul Signore Gesù, sempre di più, perché quanto più la Chiesa che il corpo di Cristo guarda il volto del suo Signore, sposo e maestro, tanto più la Chiesa, la storia ci insegna, tanto più la Chiesa può guardare il mondo con gli occhi giusti, l'umanità, perché l'umanità, il mondo, i suoi problemi, le sue ansie, le sue contraddizioni, che sono poi tutte nostre. E la Chiesa può guardare meglio all'umanità soltanto attraverso lo sguardo di Cristo. Quindi dobbiamo guardare sempre di più a lui, come vuol dire preghiera, sacramenti, vita di comunità, per poter essere di più dentro al mondo, sempre meglio per poterlo amare, servire, essere nel mondo, ma non del mondo. Vuol dire non estraniarsi dalla storia, ma esserci nel modo giusto e ancora più profondo. E questo è possibile solo nella misura in cui tutti noi, popolo di Dio, fissiamo il nostro sguardo e il nostro cuore sul Signore.
E per Lei?
Io sono dentro a questo popolo, mi auguro la stessa cosa.
Grazie Eminenza. E ancora auguri
Grazie a voi, alla città di Genova, alla diocesi, ai sacerdoti, a tutti quanti e a voi.