Metti una mattina alla ricerca di cinghiali contagiati dalla peste suina africana nei boschi di Montoggio, in alte valle Scrivia, partendo dal bar del paese, passando dal rio Carpi, una conca verde ormai abbandonata in versione invernale, fra castagni e carpi. Non fa freddo, ci sono sette gradi e tanta umidità, il cielo è plumbeo.
Caffè alle otto e si parte. I cacciatori mitigano la sofferenza di essere senza fucili e senza cani, segugi custoditi dal caposquadra.
Ma oggi non si va a caccia bensì a monitorare l'estensione della peste suina, per ora in Liguria limitata a sette casi in tutto, fra bassa Valle Scrivia e Valle Stura.
Più in là le rovine dell'alluvione che devastò la valle, con tracce del passaggio di cinghiali, sani, e resti di un capriolo predato dai lupi.
A condurre la squadra numero 193 dei cinghialisti di Montoggio, che poi si divide in due intorno a rio, è il presidente della Federcaccia Adriano Zanni, vigile del fuoco in pensione.
Dopo poche centinaia di metri Matteo Canova, il caposquadra, un ingegnere, mostra l'area benessere dei cinghiali, una pozza di fango per il bagno antiparassiti e i grattatoi, i tronchi degli alberi.
Ecco il guado nei pressi della briglia di contenimento del rio per evitare altre alluvioni. Poi scarpinando nel fango si arriva su un pianoro dove il caposquadra mostra le ossa di un capriolo spolpato poche ore prima dai lupi.
A spiegare la predazione uno dei cacciatori più esperti, un genovese di Prà, Giacomo Merello
Il monitoraggio si conclude dopo due ore e mezzo, fra dirupi, fascine di legna pronte per la stufa, uniche tracce dell'uomo in questi boschi in abbandono e poi le prime primule.
Un giro ad anello che ci riporta al centro del paese: nessun cinghiale, tante tracce di animali selvatici e la speranza sempre più fondata che la peste qui in alta Valpolcevera non è arrivata, come azzarda fiducioso Zanni: "Forse il contagio non è ancora arrivato qui grazie alla barriera naturale dell'autostrada A7".