"Diventare madre sembrava per me impossibile invece io e Alessandro abbiamo deciso di compiere un atto di fede nella vita e contro tutto e tutti otto anni fa è arrivato nostro figlio, e proprio per lui ora combatto per i diritti delle mamme disabili perché in Italia sembriamo non esistere neanche nella normativa". Giulia Panizza ha 43 anni e nella sua vita ha sempre dovuto lottare, da quando a cinque mesi nel 1981 fu operata per un neuroblastoma. La medicina definisce le persone come lei lungosopravviventi e lei è tra i più longevi in Italia. Nella sua esistenza non c'è un prima e un dopo ma solo una vita nella quale ogni step è stato frutto di tanta forza di volontà e battaglie, una vita da sopravvissuta. Oggi dopo essere diventata mamma con l'associazione 'Disabilmente mamme', di cui è il referente ligure, è impegnata nel dare visibilità alle mamme che hanno una disabilità e ha raccontato la sua storia a 'People - Cambia il tuo punto di vista'.
"Sopravvissuta nonostante le aspettative"
"Io sono nata alla fine di febbraio del 1981, una gravidanza normale, un parto normale, una bimba che ha cominciato a crescere, solo che dopo qualche mese ha cominciato ad avere qualche sintomo sempre più grave, ho cominciato a non crescere più, e la cosa più grave di tutta è stata che a un certo punto non riuscivo più a muovere le gambe - racconta Giulia - inizialmente il mio pediatra non si era preoccupato, poi quando i sintomi sono diventati via via sempre più gravi, ovviamente siamo subito ricorsi alle cure dell'Istituto Gaslini, e dove mi è stato diagnosticato il neuroblastoma.
Che cos'è il neuroblastoma?
"È una patologia che colpisce il sistema nervoso simpatico e tipicamente parte dai gangli surrenali. Da lì, poi, si diffonde. Nel mio caso c’era stata una infiltrazione nel canale midollare, che è stata molto impattante per l’intervento che ho dovuto subire e gli esiti che mi ha lasciato e, allo stesso tempo, ha rappresentato un campanello d’allarme, perché purtroppo il neuroblastoma è una malattia molto subdola e a tutt’oggi, quando viene diagnosticata, è già in una fase un po’ più avanzata, perché non dà manifestazioni immediatamente evidenti, ed è quello che è successo a me.
Quando mi hanno fatto il primo intervento chirurgico, il neurochirurgo è stato molto chiaro con i miei genitori, ha detto che la situazione era troppo grave, l'intervento era stato molto invasivo e sarebbe stato molto impattante per il resto della vita, però secondo lui non ci sarebbe stato problema perché semplicemente non sarei riuscita a sopravvivere. Il mio neuroblastoma è stato classificato tra il terzo e il quarto stadio. Basti pensare che solo successivamente è stato introdotto il quarto super, ma all’epoca il quarto era l’ultimo, ovvero quello delle metastasi, dove era più difficile pensare di venirne fuori.
I controlli clinici sono proseguiti per i primi sei anni della mia vita, anni di cui non ho ricordi così definiti, se non dei suoni e degli odori percepiti durante le degenze di quei ripetuti controlli. Il 1981 è un'era geologica fa, se noi la rapportiamo alla medicina e tutti gli studi e le ricerche che sono state fatte nel frattempo, quindi effettivamente in quell'epoca storica l'ammalarsi di cancro significava sostanzialmente morire. Io ricordo sempre un discorso anche del linguaggio che veniva utilizzato rispetto a questa malattia che tipicamente non veniva neanche nominata, si parlava di brutto male, lo si diceva anche un po' a bassa voce perché faceva talmente paura e questo era un po' l'approccio. Fortunatamente la storia è andata molto al di là delle aspettative che effettivamente avevano avuto gli oncologi che comunque hanno tentato tutte le cure che all'epoca erano a disposizione, io fortunatamente ho risposto a queste cure e quindi ho potuto proseguire il mio cammino di vita".
"Difficile trovare l'amore"
"Nessuno intorno a me era preparato, i miei insegnanti, i miei compagni di scuola neanche il mio pediatra o il mio attuale medico di medicina generale, per il quale a tutt’oggi sono l’unica paziente ad aver avuto un trascorso di neuroblastoma - va avanti - ma nella mia vita ho cercato di non limitarmi: nella scelta degli studi, nel viaggiare, nel costruirmi una mia dimensione professionale e anche una mia dimensione familiare, posso dire che non è stato magari facilissimo incontrare una persona che non avesse paura perché a volte nelle relazioni ci sono le persone che ti sono sempre state vicine, la tua famiglia, però ovviamente anche creare delle relazioni sociali per chi ha avuto determinati trascorsi e che magari ha delle problematiche tutti i giorni non è facilissimo. Mio marito si chiama Alessandro, a me fa piacere dire che non è stato facile trovarlo ma quando l'ho trovato non poteva andare meglio di così perché lui è un carabiniere, e i carabinieri sono nei secoli fedeli, e posso stare tranquilla (ride ndr)".
"Diventare mamma sembrava impossibile"
"La gravidanza sembrava una delle tante cose che non avrei potuto fare, io avevo fatto anche degli esami e purtroppo chi ha fatto determinate tipologie di cure può avere tra le altre cose anche dei problemi a livello di infertilità - spiega - così sembrava effettivamente nel mio caso, in realtà io appunto e Alessandro abbiamo fatto questo atto di fede nella vita, abbiamo provato a cercarlo e poi è arrivato nostro figlio che a fine mese compie otto anni, quindi c'è stata questa bellissima esperienza che davvero io non pensavo di poter vivere. La gravidanza è stata molto difficile, il parto è stato molto difficile e la ripresa successiva si sono innescate delle problematiche di tipo neurologico, sempre un po' ricollegate alla malattia che ho avuto, che purtroppo hanno impattato e impattano nella mia vita da quel momento lì a tutt'oggi".
"Le cose si possono fare con un buon metodo"
"Il messaggio è che le cose si possono fare, ci possono essere delle difficoltà da affrontare nella vita, io ne ho avute tante, ne ho avute sempre in tutte le situazioni, però con un buon metodo, con una buona gestione delle cose si possono affrontare, si possono realizzare le cose che uno vuole realizzare. Certo è importante la persona, la famiglia, il contesto sociale, ma è importante anche il mondo che ci troviamo intorno, che deve imparare a capire che persone come me ci sono, fanno tante cose bellissime, si possono integrare al meglio nella società, possono anche diventare genitori, perché no? Il concetto della mamma disabile è un concetto che in Italia sostanzialmente non esiste, non esiste nella nostra normativa, eppure noi abbiamo tanti casi di genitori che hanno avuto tantissime tipologie di problematiche e che però vivono anche la loro genitorialità nonostante queste problematiche".
Cinquantamila giovani che hanno superato un tumore pediatrico
"La medicina ha fatto passi avanti e tante sono diventate anche mamme ma la società spesso non tiene il ritmo della scienza e non sempre aiuta e include le donne che sono mamme con disabilità - sottolinea - e per far sapere che esistiamo abbiamo organizzato un convegno a Genova lo scorso 12 settembre: in Italia ci sono cinquantamila persone che hanno affrontato un tumore omcoematologico in età pediatrica e ne sono usciti, con un’età media di 25 anni. Assieme alle persone che sono invalide per incidente o una disabilità congenita sempre più spesso riescono a coronare il sogno di essere genitori. Anche se il numero complessivo di queste maternità (e paternità) non si conosce precisamente".
"A mio figlio vorrei trasmettere il coraggio"
"Mio figlio sa che da piccola la mamma ha combattuto contro una grave malattia, le mie cicatrici sono visibili e vede che ci sono molte cose che non posso fare, ma quello che vorrei imparasse è il coraggio e che le cose si possono fare anche con strade alternative come ho sempre fatto io".
People - La vita oltre la malattia, storie di coraggio - GUARDA LA PUNTATA
Iscriviti ai canali di Primocanale su WhatsApp, Facebook e Telegram. Resta aggiornato sulle notizie da Genova e dalla Liguria anche sul profilo Instagram e sulla pagina Facebook