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Lo studio ha utilizzato una serie di 300.000 immagini satellitari scattate ogni tre giorni per sei anni, individuando migliaia di strisce di rifiuti, alcune lunghe più di un chilometro e alcune fino a 20 km
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di Eva Perasso

La plastica in mare si vede dallo spazio: l'Istituto di scienze marine del Cnr di Lerici ha partecipato a uno studio internazionale che dimostra come, utilizzando i satelliti, si possano monitorare le aree di accumulo dei rifiuti galleggianti. Ne abbiamo parlato con uno degli scienziati protagonisti, Giuseppe Suarìa, ricercatore dell’Istituto di scienze marine del Cnr di Lerici.

Ma quanta plastica c'è in mare? Parecchie tonnellate: le stime parlano di un camion di spazzatura versato in mare ogni minuto di ogni giorno dell'anno.

Spiega Suaria: "Con questo studio non monitoriamo direttamente la plastica, ma gli accumuli di plastica che si trovano sulla superficie del mare. Abbiamo utilizzato un satellite dell'Agenzia spaziale europea, Sentinel-2: i suoi sensori possono vedere la superficie del pianeta terra e del mare. Siamo riusciti a dimostrare come questi grandi accumuli di plastica superficiali creati generalmente dal vento possono essere utilizzati per le stime sull'arrivo della plastica in mare. Tutti i governi del mondo stanno implementando misure per ridurre questo flusso di plastica che arriva costantemente in mare. Nel nostro studio abbiamo dimostrato la fattibilità di questo strumento che ora è pronto a disposizione di tutta la comunità scientifica internazionale".

Lo studio è stato pubblicato su Nature Communications: alla ricerca internazionale ha partecipato dunque l'Istituto di scienze marine del Consiglio nazionale delle ricerche di Lerici (Cnr-Ismar). Il lavoro è stato finanziato dal Discovery Element dell'Agenzia spaziale europea (Esa) ed il consorzio è composto da società spaziali multinazionali e istituti di ricerca di sei Paesi. Tra i coordinatori dello studio, l'Università di Cadice, l'Istituto di Scienze Marine spagnolo, la stessa Agenzia spaziale europea, Argans Francia, Universitat Politècnica de Catalunya, Università Tecnica di Creta, Argans nel Regno Unito, Airbus Defence and Space (Francia), Centro Comune di Ricerca della Commissione Europea, The Ocean Cleanup (Paesi Bassi) e Acri-St (Francia).


Lo studio ha utilizzato una serie di 300mila immagini satellitari scattate ogni tre giorni per sei anni, individuando migliaia di strisce di rifiuti, alcune lunghe più di un chilometro e alcune fino a 20 km. Questi dati hanno permesso di creare la mappa più completa fino ad oggi dell’inquinamento dei rifiuti marini galleggianti nel Mediterraneo. Attraverso la ricerca si è visto che l'abbondanza di queste chiazze è sufficiente per tracciare mappe dell'inquinamento e rivelare le tendenze nel tempo.
La situazione ligure è del tutto simile a quella di altre aree del Mediterraneo, spiega il ricercatore: "In Liguria i quantitativi di plastica non sono i peggiori ma sono nella media, la quantità è comunque preoccupante e ingente. Molta di questa plastica arrivata in mare sprofonda e finisce sui fondali, che sono la destinazione finale della maggior parte di questa plastica. Arrivati sul fondo non sono più rilevabili da satellite".

“Nonostante i satelliti non specializzati, siamo riusciti a identificare le aree più inquinate e i loro principali cambiamenti nel corso di settimane o anni. Ad esempio, abbiamo osservato che molti rifiuti entrano in mare quando ci sono i temporali”, spiega Stefano Aliani, direttore di ricerca ed oceanografo di Cnr-Ismar. L’analisi delle immagini satellitari, effettuata con supercomputer e algoritmi avanzati, ha permesso di comprendere che questi accumuli nelle andane costiere sono principalmente dovuti alle emissioni di rifiuti terrestri nei giorni immediatamente precedenti. Conoscere questo aspetto rende tali formazioni particolarmente utili per la sorveglianza e la gestione dell’inquinamento da plastica, dimostrando l’applicabilità dello studio a casi reali.

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