Se la sentenza di primo grado contro i 58 imputati arriverà nella primavera del 2026, saranno quasi otto anni che le 43 vittime del Ponte Morandi aspettano una prima parola di giustizia. Otto anni solo per il primo processo e quanti allora per i successivi, senza contare la possibilità di rinvii del terzo, davanti alla Cassazione.
Arriviamo a tredici, quattordici ?? anni, un tempo indefinito. Entriamo in quella nebulosa giudiziaria dove si sono persi grandi processi per grandi tragedie, anche molto diverse da questa genovese, Piazza Fontana anno 1969, Piazza della Loggia 1974, l’areo caduto a Ustica, anni Ottanta e potremmo continuare con tanti altri misteri, tante sciagure di cui raramente i responsabili sono stati condannati in nome del popolo italiano, ma piuttosto sulla base di inchieste, indagini, rivelazioni capovolte da altri indagini, da altre ipotesi. All’infinito.
Eppure questo processo era incominciato con un’inchiesta della Procura della Repubblica rapida ed efficace a trovare prove, a sollecitare e ottenere perizie, a scavare in una vicenda alla quale ancora non ci rassegniamo: quel ponte che si spezza di colpo in mezzo alla città e ci potevo essere io e ci potevi essere tu e, invece, c’erano i 43 che si continuiamo a piangere.
Confrontando il dolore, la perdita con il passo lento della giustizia, con i passaggi difficilmente comprensibili del processo così difficile, così complesso. Come la deposizione fiume del principale imputato, Giovanni Castellucci, che ha parlato per ore, senza contraddittorio di domande, concludendo con quella frase che pesa come un macigno: mi sento responsabile, non colpevole.
La storia della lentezza della giustizia non si scopre certo ora e non si può addebitare per la sua parte ai magistrati che stanno mettendosi sulle spalle il giudizio per una delle vicende più complesse del Dopoguerra italiano.
Di questa lentezza risponde un sistema che nessuna riforma, nessun governo di qualsiasi colore, di qualsiasi alleanza, è riuscito non a modificare, ma semplicemente a intaccare.
Ma c’è l’altra faccia della medaglia, che è come speculare all’attesa e alle spire di un processo infinito, oramai ridotto ai margini della macchina mediatica da tante altre vicende sempre più grandi. E questa faccia è, invece, quotidiana e martellante ed è quello che succede sulle nostre autostrade, sulle quali da quel giorno del 14 agosto del 2018, ore 11,36, si consuma un processo inarrestabile, innescato dalla scoperta che la voragine del Morandi ha smascherato: le condizioni di non manutenzione e quindi di rischi, pericoli, emergenze cui si deve porre riparo dopo decenni di incuria.
La coda-blocco di due giorni fa sulla A22 tra Rapallo e Chiavari, solo l’ultima di una serie impressionante, provocata dal centesimo o duecentesimo incidente, questa volta di un Tir, che ha preso fuoco in galleria e che Michel Varì ha raccontato così efficacemente su questo sito, è come un paradigma di quello che viviamo oramai da più di sei anni e che rischiamo di continuare a vivere.
E’ stato raccontato e descritto infinite volte qual è il rischio di viaggiare, continuando a pagare il pedaggio, sulle piste proibite delle nostre autostrade, mentre i cantieri vanno avanti e la situazione del pericolo sembra aumentare, come il volume del traffico che cresce sopratutto quello dei Tir, che le chiusure del Monte Bianco e i problemi del Frejus vomitano sulla nostra fragilissima rete.
E così mentre il processo e la richiesta di giustizia camminano così lentamente, allo stesso modo si marcia verso una normalità che tra l’altro significherà solo il ritorno alla situazione precedente, che è evidentemente insufficiente rispetto alla nuova realtà di traffico. Come Primocanale ha segnalato e denunciato fino a sfinirsi.
Fino a quando si imboccherà una galleria a corsia unica e alternata facendosi il segno della croce perché hai dietro cinque Tir e altrettanti li “affronti” sulla corsia di fronte? Fino a quando viaggerai senza l’incubo di un incidente che blocchi tutto, come è successo giovedì, imprigionando a pagamento migliaia di viaggiatori?
Lo so che il territorio di Genova va da Voltri a Nervi e che, quindi, questo discorso esula dalla più o meno ruggente campagna elettorale cui stiamo assistendo. Ma il fatto che Genova resti isolata in questa trappola, che non riguarda solo la strada, ma anche la ferrovia ( questa estate viaggiare per e da Milano con il rifacimento del ponte sul Po sarà un altro terno al lotto, almeno per i tempi) non riguarda i candidati di tutti gli schieramenti? Facciamola pure questa Superdiga, continuiamo a raccontarci e a sperare che arriverà la Gronda e che scaveranno il tunnel subportuale, sbloccando il traffico urbano e quello extra che ci assedia.
Quel giorno, in qualche Camera di consiglio di qualche Tribunale, staranno ancora valutando la responsabilità di chi ha fatto crollare il Morandi, magari in terzo o quarto grado di giudizio e ci saranno code inestricabili per arrivare a Genova su un autostrada, magari restaurata, ma largamente insufficiente. Senza corsie di emergenza, senza aree di sosta. Amen.
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Quel processo che non finisce e le autostrade sempre più trappola
4 minuti e 9 secondi di lettura
di Franco Manzitti
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Venerdì 11 Aprile 2025