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3 minuti e 29 secondi di lettura
di Andrea Chiappori*
La Basilica di San Pietro

La notizia della morte di papa Francesco è stata una sorpresa: dopo la celebrazione della Pasqua, l’ultimo bagno di folla, i saluti, il messaggio Urbi et orbi con l’accorato appello per la pace.

Bergoglio aveva detto, all’inizio del pontificato, di avere l’impressione che sarebbe stata un’esperienza breve, consapevole della sua età non più giovane. Per questo aveva dato l’impressione di avere fretta: di incontrare, parlare, di avviare processi di cambiamento. Tutto, in questi dodici anni è stato sorpresa, non solo la fine: la scelta del nome, quello stile informale e simpatico, la scelta di temi nuovi, come per sanare il divorzio tra la fede e l’impegno sui temi sociali.

In modo semplice e radicale, Francesco ha vissuto il Vangelo che, preso sul serio porta sempre tensione, cambiamento, incontra gli ostacoli di chi non accetta di riformare innanzitutto se stesso e i propri ambienti. Lo ha fatto declinando i temi del Concilio Vaticano II, a partire dalla costituzione “Gaudium et Spes”: «le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d'oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla Vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore».

Questo sguardo, affinato da un’umanità empatica e gentile, ha saputo intuire come in questo mondo secolarizzato e violento fosse presente in tanti, soprattutto nei deboli e negli scartati una irriducibile speranza.

Di fronte alle teste chine sotto il peso della vita, alla tristezza dei giovani, allo smarrimento di tanti, la risposta non poteva essere, disse fin dalla prima omelia nella messa con i cardinali nella Cappella Sistina, quella di trasformare la chiesa in «una ONG assistenziale». Piuttosto chiese fin dall’inizio uno stile di prossimità, di “misericordia” cioè lo stile di chi mette il cuore e la vita vicino ai poveri.

Perché è la solitudine che prosciuga la speranza e sono l’amicizia, la vicinanza, la comunità che restituiscono vita e futuro.

Francesco non ha costruito un programma sistematico di governo, non ha risolto tutti i problemi, non ha concluso la riforma della Curia. Come amava dire lui, ha “avviato processi”, aperto strade: indicando temi nuovi – non più i valori non negoziabili, ma innanzitutto il dramma dei migranti, la pace, i poveri al centro – e consegnandoci le sue intuizioni e, con esse, la freschezza del Vangelo vissuto.

Questo non ha forse arginato l’emorragia di fedeli dalle chiese, ma, innegabilmente, ha incontrato la simpatia di tante donne e uomini che ormai erano lontani, come hanno dimostrato le folle ai suoi funerali.

Francesco ha parlato al cuore della gente in modo misterioso e viscerale, “bucando” le bolle degli algoritmi che definiscono i confini dei temi di interesse. Le sue parole, i suoi gesti – penso, su tutti, al momento straordinario di preghiera in piazza San Pietro durante la pandemia – hanno superato le barriere e dialogato con i bisogni più profondi delle persone.

Le decine di migliaia di donne e uomini che hanno atteso ore in coda per fare un saluto alla tomba di Bergoglio sono l’espressione di una domanda profonda di spiritualità. Così come nelle persone che affollano ancora i luoghi di spiritualità, Assisi, i santuari mariani: esprimono una ricerca di speranza che, anche se manca di una grammatica per esprimersi secondo le vecchie categorie, non può essere delusa o ignorata.

Papa Francesco ha predicato con le parole, ma ancora di più con la sua vita e la sua umanità. Ha interpretato una novità dirompente, che ha affascinato tanti e che ora ha bisogno di essere messa a terra e di andare avanti.

Dare concretezza a queste intuizioni è forse un lavoro meno affascinante di quello dei pionieri, ma non meno importante. Questo sarà compito del prossimo Papa, certamente, ma non solo: a ciascuno di noi, se lo vogliamo, è lasciata una parte dell’eredità di Francesco. Per sostenere la speranza dei più fragili con l’amicizia e la prossimità.

Andrea Chiappori* - Responsabile Comunità Sant'Egidio Liguria

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