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Cronaca

Focus sul retroffiting delle pile collassate: doveva essere avviato negli anni '90 e invece fu progettato nel 2014 e il cantiere sarebbe dovuto partire solo nell'ottobre 2018: troppo tardi
3 minuti e 53 secondi di lettura
di Michele Varì

GENOVA- Quando nel '92 ci si accorse della grave corrosione nei cavi della pila 11 di ponte Morandi si intervenne subito con un progetto di retrofitting (nella foto), rinforzando gli stralli con tiranti esterni.
Si disse che l'ammaloramento era dovuto a un difetto di costruzione: i fili annegati nel calcestruzzo invece di essere separati uno dall'altro erano aggrovigliati, impacchettati. E poi pare ci fosse poco calcestruzzo, insomma si lavorò al risparmio, erano anni quelli di clientelismo e bustarelle, dove i lavori venivano svolti al ribasso e con pochi controlli. Aldilà del perchè il ponte fosse stato costruito con un difetto strutturale, come avvertì lo stesso ingegner Morandi, la logica avrebbe imposto di controllare in modo attento anche le altre due pila, la 10 e la 9, costruite allo stesso modo. Invece niente, controlli scarsissimi, ed effettuati quasi solo con delle prove, riflettometriche, basate su impulsi elettrici e gestite in modo artigianale da una ditta privata a conduzione familiare, un azzardo per controllare la sicurezza dell'opera autostradale più importante e anche più imponente, la "Gioconda di Autostrade per l'Italia", come l'ha definita il pubblico ministero Massimo Terrile nella sua memoria d'accusa.

Il progetto di retrofitting per mettere in sicurezza le altre due pile del Morandi invece di essere avviato subito dopo il rinforzo della 11 è stato disegnato nel 2014 e poi tenuto lì, in un cassetto, nonostante la logica avrebbe imposto di accorciare i tempi, di avviare con urgenza, sospeso sino all'inizio del 2018, l'anno della tragedia.

A gennaio dello stesso anno ci fu la riunione del comitato tecnico amministrativo del provveditorato delle opera pubbliche di Piemonte Valle d'Aosta e Liguria diretto dal provveditore Ferrazza (uno dei 58 imputati) per lavori che sarebbero dovuto partire nell'ottobre dello stesso anno, due mesi dopo il disastro del 14 agosto.


Di tutto questo oggi si parlerà nell'udienza nel primo dei tre giorni della settimana di processo ai 58 imputati per la tragedia costata la vita a 43 persone. I testi sono dipendenti dell'ufficio locale del Ministero dei Trasporti: Montaquila, Papillo, Pentimalli e Piccitto.

Il focus sarà sulle riunioni di inizio 2018 in cui si approvò il retrofitting in cui erano presenti oltre al direttore del tronco Ferrazza, anche altre tre relatori da lui scelti, altre tre imputati, Bonaccorso (che si occupa di certificazione di imprese), Sisca (ingegnere della motorizzazione che insegna nelle scuole guida), Servetto (ingegnere ed ex assessore della provincia a Recco) e in qualità di esperto esterno, il professor Antonio Brencich.


A parlare in aula saranno i dipendenti del provveditorato, compresa la segretaria Daniela Piccitto, che dovranno svelare i retroscena delle riunioni del Comitato che invece di delegare la validazione del progetto al Consiglio dei lavori pubblici come prevedevano le norme fecero tutto in famiglia e in modo, dopo decenni persi a fare nulla, troppo sbrigativo, come se si fossero accorsi che il Morandi fosse stremato.

In realtà l'esperto di punta di quelle riunioni, Brencich, professore universitario luminare strutturista, a cui tutti passarono il pallino sulla decisione finale, nelle interviste rilasciate due anni prima del crollo e pure subito dopo, aveva detto che pur consapevoli della necessità di intervenire al più presto sulle altre due pile, non c'erano i presupposti tecnici per ipotizzare un collasso della struttura. Anche Brencich è fra gli imputati, ed è anche uno dei sempre presenti in aula, come Servetto.

Al proposito tornano in mente le parole riferite a Primocanale alla fine dell'udienza della scorsa settimana da Giuliano Mari, ex presidente del comitato rischi di Atlantia ed ex presidente di Autostrade per l'Italia che per spiegare il motivo del ritardo del progetto del retrofitting ha rispondendo ponendo un quesito, "ma non le sembra assurdo che Autostrade che metta in pregiudizio la propria sopravvivenza per non fare un intervento di 26,5 milioni di euro, per non fare un investimento che per Aspi è di modestissima entità?". E alla domanda sul perché non era stata avviata un'opera urgente come il retrofitting sulle pila 9 e 10 ha precisato, "era un'opera pianificata, c'è voluto molto tempo perché la progettazione ha richiesto più tempo di quello che si poteva prevedere". Questo in realtà non è vero perchè bastava replicare l'intervento già svolto negli anni '90 sulla pila 11.

Fra i tecnici che negli anni si sono preoccupati di monitorare le pile 9 e 10 anche l'ingegnere Francesco Pisani, primo allievo di Morandi e progettista dei lavori di rinforzo della pila 11 svolti negli anni '90. Lui, incaricato dal dirigente di Autostrade Donferri Mitelli (imputato) di studi per intervenire sulle pile 10 e 9, fu poi esautorato. Questo perchè, secondo l'accusa, Donferri preferì un ingegnere neolaureato che "rispondesse ai suoi ordini". Di quel lavoro non se ne fece mai nulla. Pisani, oggi ultranovantenne, dovrebbe essere ascoltato, medici permettendo, da giudici e avvocati del processo a fine luglio con una trasferta di tre giorni a Roma.

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