GENOVA -"Se avessi denunciato Alberto mia figlia mia figlia mi avrebbe ammazzata...".
Lo ha detto in lacrime Ludovica Albera, la nonna di Alice e Alberto Scagni, una donna piccola piccola quasi chiusa nel suo dolore. La prima teste del pm al processo per l'uccisione di Alice Scagni del primo maggio 2022 a Quinto: "Quel giorno mentre mi figlia e mio genero mi portava in auto in Piemonte in auto gridai cinque volte di andare da Alice, forse potevo salvarla, ma non ci fu verso" ha aggiunto piangendo l'anziana, accompagnata in tribunale dal marito della nipote, Gianluca Calzona.
La testimonianza della nonna ha fatto calare il gelo in aula e commosso alcuni giudici popolari della corte e conferma che la famiglia dei due fratelli non aveva nessuna intenzione di denunciare il figlio, particolare che potrebbe essere molto importante per il procedimento bis avviato dalla procura dopo la denuncia dei genitori di Alberto e Alice che accusano gli agenti delle volanti e il medico del servizio di salute mentale di avere sottovalutato le loro ripetute segnalazioni.
La polizia aveva invitato la mamma e il papà di Alberto a sporgere denuncia contro il figlio, ma la denuncia non era mai stata presentata.
LA LETTERA DELLA NONNA
La nonna dopo la tragedia aveva consegnato una lettera, un manoscritto, per raccontare il suo dramma e le sue paure per la situazione in cui si trovava con il nipote che la minacciava per avere da lei soldi. Nella missiva, acquisita agli atti del processo, si capisce il difficile rapporto, poi del tutto interrotto, fra lei, la nonna, e la figlia Antonella Zarri:
"Avere perso Alice significa essere sola al mondo - scrive Ludovica Albera - Alice mi voleva veramente bene, era sempre pronta ad aiutarmi, la sua morte, mancanza, mi strazia il cuore. Non accetto che Alberto le abbia usato tanta violenza, confesso che se fosse lecito e ne fossi capace quella mazza usata per rompere la mia porta gliela romperei sulla schiena. Mi sono sempre lamentata con mia figlia del pessimo comportamento di Alberto, la risposta era sempre la stessa, "sei vecchia, noiosa e lasciami stare che devo lavorare, punto!". Ora non mi risponde neanche più al telefono perchè avrà capito di avere sbagliato tutto. E la colpa prima di tutto è sua, non della polizia. Una vera mamma se i figli sono in pericolo corre, non cerca la polizia. Io potevo salvare Alice è per questo che non trovo rassegnazione. Mio genero per andare d'accordo deve ubbidire ai suoi ordini".
Poi la nonna scrive ancora: "Alberto non è malato, è così da sempre e basta", come a smentire la tesi della figlia, la mamma dell'assassino.
Ma torniamo a quanto ha riferito in aula Ludovica Albera, il suo racconto è partito da distante:
"Alberto l'ho cresciuto io. La casa dove vive l'ho comprata io nel '97, lui aveva 17 anni, Alice invece ne aveva otto anni meno, dormivano lì tutti e due poi andavano a mangiare in casa dai genitori. Ero io che lo accompagnavo io e lo seguivo a scuola a fare i compiti. Da piccolo Alberto era un bambino timido, molto timido, non avrei pensato che diventasse un disgraziato... (e a questo punto la donna viene interrotta dal giudice Cusatti che la invita a non esprimere giudizi ndr), poi ci sono stati i genitori, io l'ho seguito fino a 17 anni quando ha iniziato a fare quello che voleva lui, poi lo seguivano i genitori. Alberto e Alice sono andati a vivere in quell'appartamento perchè la casa dei genitori era piccola.
Se Alberto chiedeva soldi? Quando era piccolo no, gli facevo solo i regali alle feste, a Pasqua e Natale, è da un anno che ha cominciato a chiedere soldi, ultimamente, mi ha chiesto anche 50 mila euro, io gli ho detto sì, sì, te lo dò, ti dò 50 euro, e lui mi ha risposto "cosa me ne faccio di 50 euro". Questo è successo dopo Pasqua, il 30 aprile. Certe volte veniva, mi telefonava e mi diceva, ti devo parlare, mi apri, si si vieni, e mi chiedeva i soldi. Quando lo vedevo mi spaventavo: aveva la faccia stravolta, ho cambiato sette serrature, non so come facesse a entrare, mi portava via le chiavi, io le nascondevo ma lui era capace di trovarle, ed entrava quando io andavo a messa, dalle 5 alle 7, così era sicuro che non ci fosse nessuno".
La donna poi aggiunge: "Alberto non ha mai avuto le mie chiavi perchè avevo paura e quando gli aprivo s'infilava nel corridoio e cominciava a girare, avevo paura perchè una volta mi ha preso per il collo, anni fa, quindi stavo allerta, quando vedevo che aveva la faccia stravolta scappavo fuori, andavo dalla vicina".
Alla domanda del pm se avesse parlato di questo alla figlia, la donna risponde, "non se ne sono mai interessati, potevano intervenire e chiedergli cosa vai a fare casa della nonna, quando mi lamentavo Antonella mi diceva "ha quarant'anni e sa cosa deve fare", ecco cosa ha fatto...".
Poi il pm gli chiede dell'ultimo periodo, ad aprile prima del fatto: "Ho chiamato tre volte la polizia perché picchiava sulla porta e io avevo paura, quando sono venuti mi hanno detto che poteva denunciarlo, ma se lo denunciavo mia figlia mi avrebbe ammazzato, o chiamato la polizia ma volevano che io dicessi che lo avevo visto, ma io non l'avevo visto, come faccio a vederlo se io ero in casa, ma era lui, senz'altro era lui".
Il pm Crispo chiede alla donna di ricordare del principio d'incendio alla sua porta: "Ha buttato del liquido infiammabile, ero in casa, ho visto il fuoco, sono corsa, la porta era tutta bagnata di un liquido, ma non l'ho visto Alberto, Alberto si fa vedere, in quel periodo non avevo lo spioncino, adesso ho la porta blindata, non ricordo il giorno quando è successo, qualche giorno prima, poi mia figlia ha messo una guardia sulla porta quando abbiamo visto che continuava a picchiare sulla porta, il fuoco è successo nel pomeriggio del giorno prima della morte di alice, era il 30 aprile".
Ludovica racconta il giorno della tragedia: "Mi telefona mio genero e mi dice preparati che ti porto via, ti porto in Piemonte, gli ho risposto, "Ma come? Io non vengo, fa freddo, la dottoressa dobbiamo metterci tutti al sicuro. Allora telefono a mia figlia e le dico vengo a dormire a casa tua, mi ha detto no, allora telefono ad Alice, anche lei mi dice di no perchè devo fare qualcosa forse doveva accompagnare Alberto dal dottore, allora mi preparo per andare..". "Quando siamo arrivati in via Cantore comincio a dire a mio genero, passiamo da Alice, passiamo da Alice - a questo punto Ludovica scoppia a piangere - per favore passiamo da Alice, ho ripetuto, magari l'avrei salvata, mi hanno risposto che per arrivare da Alice ci vuole un'ora e in un'ora siamo a casa, gliel'ho detto cinque volte tanto che pensavo anche di scendere dalla macchina, ma io non ce la faccio ad andare da Alice da sola con il bus, c'ero stata solo due volte, anche adesso non saprei come andare da Alice, con il senno del poi potevo scendere e prendere il bus, tanto tutti mi aiutano sull'autobus..." e a questo punto il giudice Cusatti la interrompe invitandola a stare tranquilla e non farsi delle colpe, "lei è l'ultima persona che deve farsi degli scrupoli" precisa il giudice.
Il pm Crispo poi chiede: "Quando suo suocero il primo maggio è venuta a prenderla per portarla in Piemonte le ha detto era successo qualcosa? La nonna ha risposto così: "Niente, non mi ha detto niente, io ho chiesto, ma Alice lo sa che la dottoressa ha detto che dobbiamo metterci al sicuro? Sì, sì lo sa, abbiamo chiamato la polizia - mi ha risposto - ma una mamma - dice la nonna alzando la voce e ancora una volta in lacrime - non sta ad aspettare la polizia, doveva prendere la macchina e andare a vedere...".
In aula dopo la nonna hanno parlato i poliziotti della polizia della scientifica e della sezione omicidi della squadra mobile, e i vicini di casa di Alice di via Fabrizi che sono intervenuti per primi.
Alberto Scagni ha assistito all'udienza in silenzio, immobile, al fianco del legale Caselli Lapeschi, che ha sostituito il suo legale d'ufficio Mirko Bettoli di Chiavari, sopraggiunto più tardi in aula.
I primi due vicini di casa, una coppia, Thomas Magliocco e la moglie Roberta Michelon hanno raccontato di avere assistito all'omicidio dalla finestra di casa. L'uomo dice che dopo avere assistito all'aggressione è sceso in strada scalzo per cercare di fermare Alberto Scagni, che colpiva la donna," a me pareva con dei pugni, poi quando mi sono avvicinato ho visto che aveva qualcosa in mano, forse un vetro". La moglie invece è scesa dopo avere telefonato al 112 e ha anche provato a rianimare la donna con il massaggio cardiaco.
Un altro vicino racconta di avere visto Alberto prima dell'omicidio davanti al portone.
In aula anche una ex fidanzata di Alberto, Dafne Kafkaletos, lei racconta di avere avuto una relazione sino al Natale 2015 e di avere conosciuto due Alberto Scagni, "perchè nell'ultimo periodo in concomitanza con quando aveva smesso di assumere una terapia e perso il lavoro era diventato morboso, ossessivo, aveva iniziato a trattarmi male, a diventare dominante, morboso, quando ci siamo lasciati e sono stato costretto a fare un esposto perchè mi aveva preso per la gola, è stato l'ultima volta che l'ho visto, da lì sono iniziate le molestie verbali".
"Prima invece Alberto era una bella persona", ha aggiunto la donna, che era in contatto anche con la sorella di Alberto, la vittima, Alice, con cui si messaggiava.
Poi in aula poi è stato il turno di Sara Lo Pinto, il medico legale che ha svolto il primo intervento in via Fabrizi dopo l'omicidio e l'autopsia su cadavere di Alice Scagni: "Sono stata chiamata il primo maggio e sono arrivata insieme alla scientifica, il corpo era supino, c'era al fianco un sacchetto con dentro un coltello con un manico di circa 12 centimetri, c'era una vasta macchia di sangue sotto Alice, le ferite principali erano davanti, due, e circa 17 nel dorso. Poi nell'autopsia ho accertato che in tutto c'erano 24 ferite, fra cui alcune alle dita, compatibili con lesioni da difesa, davanti due ferite, nel torace. Alcuni colpi particolarmente violenti hanno rotto le costole".
Nella prossima udienza saranno sentiti come i testi dei pm i genitori della vittima e dell'assassino, Antonella Zarri e Graziano Scagni, e il marito di Alice, Gianluca Calzona.
I genitori, insieme al loro avvocato Fabio Anselmo, in qualità di parti civili, si sono ritirati dal processo perchè il giudice nella prima udienza gli ha tagliato alcuni testi. Nel processo come parte civile c'è invece Calzona, il marito di Alice, assistito dall'avvocato Andrea Vernazza.