GENOVA -"Ho paura di fare la scelta sbagliata, ho bisogno di aiuto, quei due due mi fanno sentire in prigione, ma io voglio vendicarmi e andare ai sindacati di Cornigliano..."
Sono le parole che Mahmoud Abdalla, il 18enne barbiere massacrato dai due datori di lavoro a Genova, aveva inviato con una serie di audio a un marocchino suo grande amico, una persona adulta per lui, arrivato da solo a Genova da minore, quasi un secondo padre.
L'ultimo messaggio è stato inviato alle 14.49 di sabato 22 luglio, ad un giorno esatto dal suo omicidio.
Negli altri messaggi inviati trapela la grande paura del ragazzo ma anche rabbia nei confronti di Bob e Tito, i due connazionali arrestati dai carabinieri per l'omicidio.
Il ragazzo svela quello che potrebbe essere il movente del delitto, ossia che il lavoro nel negozio a Sestri era diventato una carcere e per questo desiderava cambiare, ma dice anche che vuole vendicarsi, denunciare i datori di lavoro ai sindacati di Cornigliano e andare a lavorare in una barberia concorrente per fare perdere lavoro ai suoi oppressori, "che mi stressano" ripete, di fatto sintetizzando quello che potrebbe essere il movente del delitto.
Ventiquattro ore dopo questi audio i due connazionali, i due aguzzini, lo attireranno nella casa dove abitava, in via Vado, con il pretesto di dargli gli ultimi compensi, e lì lo uccideranno. Poi, prima di gettarlo nel mare di Chiavari, lo scempio della decapitazione e del taglio delle mani, per cercare di ritardare la sua identificazione.
Un macabro strazio inutile perché lo scirocco ha restituito subito i resti, e perché Mahmoud aveva un tatuaggio su una spalla che avrebbe comunque, al di là dell'esame del Dna, reso possibile in tempi brevi scoprire la sua identità.
"Io lavoro con loro e abito con loro, è come se fossi in carcere - dice in un altro audio il ragazzo -, mi hanno stressato, rotto l'anima, mi serve una casa e un posto letto, ma fuori da questi qua, se ho lavoro e una casa io sono un uomo libero".