GENOVA - Il processo Morandi è più che mai già rivolto alla fase tecnica che prenderà il via a fine marzo, ritenuta cruciale per stabilire le cause del crollo del ponte e se quella tragedia si poteva evitare. Una fase in cui in aula si confronteranno i periti dei giudici e circa 50 consulenti delle difese.
Per l'accusa formalizzata dai pm Terrile, Cotugno e Airoldi che hanno condensato la loro tesi in una maxi memoria che con il passare delle udienze è sempre più corposa, il collasso del Morandi si doveva prevedere visto che Autostrade per l'Italia e Spea dopo avere ristrutturato negli anni '90 la pila 11, perchè i cavi nascosti dal cemento erano corrosi, avrebbe dovuto prevedere che anche le pile 10 e 9, gemelle della 11, potessero avere lo stesso problema. Ma se la 10 in parte venne consolidata con piastre esterne, la 9, invece, quella che ha provocato il crollo, è sempre stata ignorata. Quei lavori, il fatidico retrofitting della pila 9, infatti sarebbe dovuto partire nell'ottobre del 2018, troppo tardi. Al processo è emerso che sulla pila 9 nel 2015 erano stati fatti solo alcuni carotaggi a metà dello strallo, ma nulla nella sommità dove sarebbe avvenuto il cedimento.
In attesa della nevralgica fase tecnica le ultime udienze dedicate all'ascolto dei testi a difesa dei 58 imputati non stanno regalando grandi sussulti, non a caso gli avvocati delle persone sotto accusa hanno rinunciato ad oltre 150 testimoni, rispondendo all'appello dei giudici Lepri, Polidori e Baldini (nella foto) di snellire la lista, ma anche perché evidentemente si trattava di testimoni non ritenuti essenziali. La conferma, dicono gli addetti ai lavori, che il quello del Morandi è un processo documentale, che si basa più sulle carte che sui testimoni.
La drastica diminuzione dei testi a difesa paradossalmente sta creando parecchi problemi alla calendarizzazione delle udienze previste da qui a fine marzo, quando dovrebbe iniziare l'attesa fase tecnica.
Per questo la settimana che comincia, come quella appena passata, sarà limitata a una udienza, quella di oggi, quando nel pomeriggio è stato sentito l'unico teste, l'imprenditore che si occupa di mezzi elevatori Carlo Fagioli (chiamato per l'imputato Antonino Galatà, ex amministratore delegato di Spea), che era stato previsto per domani.
Galatà, come Castellucci, è presente in aula.
Oggi il primo a comparire davanti ai giudici è stato Giancarlo Guenzi, dirigente dal 1994 passato da Autostrade, Atlantia e Pavimental, chiamato e difesa da due ex amministratori delegati di Aspi, Castellucci e Ceseri e da Donferri.
Il teste, che si occupava dell'aspetto finanziario e amministrativo, in aula fra l'altro ha riferito di non avere "mai avuto limiti di budget per le manutenzioni", in chiaro contrasto con la tesi dell'accusa, "piuttosto - ha ricordato Guenzi -"abbiamo avuto carenze di personale".
Dopo di lui ha parlato l'ingegnere Angelo Galati, a difesa dell'ex direttore delle manutenzioni di Aspi Donferri Mitelli, di cui era segretario tecnico, e di Frazzica, responsabile ufficio coordinamento opere strutturali Aspi.
Galati ha detto che era difficile lavorare con Donferri perchè aveva ritmi alti, "iniziava presto e finiva tardi e affrontava personalmente tutti gli interventi all’interno della sua direzione".
Il teste ha affrontato anche il tema della revisione del catalogo dei rischi: “Mi pareva un'anomalia che i dati non fossero a disposizione della struttura, lo dissi a Donferri e anche lui lo segnalò”. In quell’occasione si parlò della sensoristica, dei sensori del Polcevera, tranciati il 7 luglio 2016: “Quando fu fatta la variazione al catalogo dei rischi nell'ottobre 2017 non ne sapevo nulla, poi dopo i crollo ho saputo che i sensori non funzionavano, secondo noi - ha spiegato Galati - andavano fatti approfondimenti”.
Con l'annullamento della udienza di domani il processo si fermerà sino al 26 febbraio visto che è già stata programmato lo stop dal 19 al 21 febbraio, in coincidenza con la settimana bianca nelle scuole, stop finalizzato all'analisi degli esami svolti sino ad oggi.