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Cronaca

La responsabile del penitenziario di Marassi sognava di fare il magistrato, ma ora ama il lavoro con i reclusi: "Vederli uscire e non tornare è la cosa più bella". Teatro, panetterie, assistenza ai disabili in spiaggia: così i reclusi possono riinserirsi
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di Michele Varì
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GENOVA - "Il problema principale è il numero di detenuti particolarmente alto visto che abbiamo più di 700 detenuti, troppi e di tante etnie diverse che devono convivere", attacca così Tullia Ardito (nella foto), da due anni direttrice del carcere di Marassi, una donna che sognava di fare il magistrato o l'avvocato e per puro caso, facendo un concorso, si è ritrovata a fare il direttore del penitenziario più importante della Liguria, "un lavoro che svolgo da trent'anni e ora amo".



La dirigente ammette che anche a Marassi ci sono molte aggressioni come in tutte le carceri d'Italia, anche contro i poliziotti penitenziari come denunciano da sempre in sindacati: "Noi ci adoperiamo per prevenirle".

Un sovraffollamento quasi fisiologico in uno delle carceri più grande del nord Italia che si tenta di tenere sotto controllo con trasferimenti periodici coordinati cadenzati ogni 15 giorni con il provveditorato di Piemonte e Liguria, "paghiamo anche il fatto che il carcere di Savona è chiuso e quindi la nostra competenza territoriale si spinge fino a Finale Ligure".

Nella Cajenna di marassi si stringono fino a sei persone nelle celle grandi, e due sole persone in quelle piccole. Un penitenziario che da dieci giorni ospita anche il recluso importante, l'ex presidente dell'autorità portuale Paolo Emilio Signorini, che è una cella della sezione protetta della sesta sezione con Salvatore Cannella, l'uomo condannato all'ergastolo perché che l'anno scorso uccise la moglie a San Biagio, in Valpolcevera.

Ma di questi casi Ardito non parla. Ci tiene invece a ribadire che quando muore un detenuto, e a Marassi oltre ai suicidi che avvengono in tutti gli istituti c'è stato persino un omicidio, ci si sente sconfitti, "non è naturale morire in cella" dice.

La parte più gratificante di un direttore è invece non rivedere tornare dentro un detenuto scarcerato. Importanti sono le attività di rieducazione che permettono di regalare una speranza che una volta fuori si possa ricominciare con qualche possibilità in più. "Noi facciamo attività teatrali, come i libri viventi in cui i detenuti raccontano le loro storie - spiega Ardito - la panetteria, la riapertura della falegnameria, l'assistenza ai disabili in spiaggia, esperienza iniziata l'anno passato e che sarà ripetuta quest'estate, poi abbiamo tantissime di detenuti che escono per progetti di pubblica utilità con il Comune come ripulire i giardini".
 
La direttrice parla anche della peculiarità del carcere di Marassi di trovarsi fra le case, "comodo per gli operatori e i familiari dei reclusi per i colloqui, ma più complicato per la sicurezza e la logistica visto che si trova fra un supermercato e lo stadio.  Lanci di telefonini e di droga dall'esterno? Sì, ci sono sempre stati, ma noi cerchiamo di contrastarli con più controlli".

(Foto in bianco e nero di Luisia Ferrari e Sabrina Losso)

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