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Cronaca

L'ex legale di Soracco e un religioso testi chiave del cold case: in aula potrebbero essere costretti a scegliere se mantenere il segreto professionale o violarlo ai fini di giustizia
3 minuti e 28 secondi di lettura
di Michele Varì

Due segreti professionali si oppongono alla verità sul cold case di Nada Cella: è emerso nelle prime due udienze del processo in corso a Genova davanti alla corte di Assise sull'uccisione della segretaria di Chiavari. I giudici hanno acquisito agli atti una telefonata privata fra Soracco e il suo ex legale di allora mentre l'accusa ha anticipato che fra i testi più importanti ci sarà un frate che avrebbe ricevuto una confessione importante per fare luce sull'omicidio.

Il segreto professionale degli avvocati

Quella dell'inedita telefonata fra il commercialista e il suo avvocato Massimo Ansaldo avvenuta il 31 maggio del 1996 però ha già innescato polemiche e potrebbe diventare un caso.

Il legale infatti, quando ha appreso di essere stato intercettato, del possibile utilizzo in aula del contenuto del dialogo con il suo cliente e del fatto che potrebbe essere chiamato a parlare in aula in qualità di teste sta valutando di chiedere un parere sulla vicenda all'Ordine degli avvocati della Liguria.

Dialoghi fra legali e indagati non utilizzabili

Dal canto suo il presidente dell'ordine degli avvocati Stefano Savi, interpellato sulla questione da Primocanale, dopo avere ammesse di non essere a conoscenza della vicenda, si limita a ribadire che esiste un principio per cui non si possono intercettare e utilizzare le telefonate fra un avvocato e il suo cliente.

La proposta di inserire nel processo la telefonata era stata avanzata nella prima udienza dal pm Gabriella Dotto e dall'avvocato della famiglia Cella, Sabrina Franzone, ed è subito stata contestata dai difensori Gianni Roffo e Andrea Vernazza, rispettivamente legali di Anna Lucia Cecere (la donna accusato dell'omicidio della segretaria) e del commercialista Soracco e della madre Marisa Bacchioni (gli altri due imputati accusati di favoreggiamento).

La Corte ha detto sì alla telefonata Soracco-legale

Il presidente della corte di Assise Massimo Cusatti all'inizio della seconda udienza ha ammesso nel processo la telefonata rifacendosi a sentenze della Cassazione in quanto la conversazione non è incentrata sulla posizione di indagato del cliente (fra l'altro Soracco allora era accusato di omicidio volontario) ma può essere considerata uno sfogo del commercialista con il legale.

Parte della telefonata ancora top secret

Proprio questa sfida sull'utilizzo in aula della telefonata fa capire quanto il suo contenuto può essere importante per l'andamento del processo: nella chiamata Soracco ammette che conosce bene quella donna misteriosa che, anche se non ne svela il nome, è evidentemente Cecere, ma aggiungerebbe anche altre informazioni, per ora top secret, ritenute molto importanti dal pm per completare il quadro accusatorio nei confronti della donna accusata del delitto.

Un unico testimone e oculare

Una quadro per ora però pieno di indizi ma senza prove visto che c'è solo un testimone oculare, il figlio di una mendicante, che avrebbe visto quella mattina Cecere uscire dal palazzo di via Marsala.

Appelli per identificare "la signorina" che telefonò

Gli inquirenti inoltre stanno ancora cercando, in realtà più con appelli sui media che con vere e proprie indagini sul campo, la misteriosa "signorina" che dopo l'omicidio telefonò alla mamma di Soracco e a un avvocato di Chiavari accusando l'imputata del delitto. Forse la stessa anonima che in modo diretto o attraverso un'amica aveva intenzione di confidare a un frate chi era l'assassina di Nada. Ma anche qui si parla di un segreto professionale, quello confessionale del religioso, garantito dal diritto canonico.

Il segreto confessionale del frate

Il religioso, come riferito da Giuseppe Gonan, allora a capo della sezione omicidi, il teste più importante della seconda udienza, davanti ai poliziotti ventinove anni fa si sarebbe trincerato nel silenzio nel rispetto del segreto confessionale a cui sono tenuti i religiosi. Frate che invece sino ad oggi ai giornalisti ha sempre negato di avere ricevuto confidenze sul delitto Cella ma che una volta in aula di un tribunale, davanti ai giudici, ed è questa la speranza del pm Dotto, potrebbe dire la verità e, chissà, forse anche svelare l'identità della misteriosa signorina o comunque di un teste forse decisivo per fare pendere l'ago della bilancia a favore dell'accusa, ago per ora saldamente a favore degli imputati visto l'assenza di prove.

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