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Politica

Il direttore della rivista di geopolitica Lucio Caracciolo e la cartografa Laura Canali hanno approfondito i temi legati alla guerra in Ucraina e la crisi in medioriente
4 minuti e 9 secondi di lettura
di Riccardo Olivieri
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GENOVA - "Fine della guerra": è questo il tema del festival della rivista Limes, punto di riferimento nella geopolitica, che per l'undicesimo anno si svolge a Palazzo Ducale a Genova. Fino a domani 12 maggio sarà possibile ascoltare le voci degli esperti sui tanti temi che riguardano da vicino l'occidente, in particolare gli Stati Uniti d'America. "Parliamo di fine della guerra: il fine, cioè perché si combatte, e la fine, cioè come si finisce - spiega il direttore Lucio Caracciolo -. Le due cose sono strettamente legate. Il problema dell'occidente, dell'America in particolare, è che sono guerre senza scopo e quindi potenzialmente infinite".

L'occidente è stato scosso principalmente da due guerre negli ultimi anni. La prima è quella nata con l'invasione dell'Ucraina da parte della Russia, i cui fine secondo Caracciolo sono chiari: "I russi vogliono prendersi un pezzo di Ucraina e gli ucraini vogliono tenersela - chiosa -. Il problema è che gli sponsor dell'Ucraina, cioè noi occidentali, l'America in particolare, abbiamo stabilito che il fine dell'Ucraina non è raggiungibile ma allo stesso tempo vogliamo impedire che la Russia vinca la guerra facendo combattere solo contro gli ucraini, noi non parteciperemo. Il rischio è quello di un collasso del fronte interno ucraino e quando la guerra finirà l'Ucraina sarà in una condizione molto difficile, ricostruirla sarà un compito di decenni".

L'altro conflitto che preoccupa l'occidente è quello israelo-palestinese, dove secondo Caracciolo "ognuno è per sé stesso. Israele si sente minacciato esistenzialmente e quindi lotta per la sopravvivenza, Hamas idem ma c'è una differenza: Israele è uno Stato, e che Stato, Hamas è un'organizzazione di massa che usa il terrorismo e sta praticamente incamerandosi l'eredità della Palestina, oggi Hamas rappresenta la Palestina e questo rende tutto più difficile - spiega -. L'America sta centellinando le armi a Israele ma continuerà ad appoggiarla".

America che potrà cambiare volto con le elezioni che si terranno a novembre. La sfida tra Biden e Trump per la presidenza desta preoccupazione ma potrebbe essere meno determinante di quanto si creda: "Secondo me la differenza tra chi vincerà le elezioni americane non sarà così enorme, chiunque sarà presidente dovrà tener conto dei dati oggettivi che non permettono all'America di combattere una grande guerra e di occuparsi di tutto il mondo - spiega ancora Caracciolo -. Speriamo che almeno una di queste due guerre nei prossimi sei mesi possa essere messa nel refrigeratore perché una vera pace non ci sarà".

Al festival di Limes è anche possibile visitare la mostra "Linee spezzate. Vecchi e nuovi confini" curata dalla cartografa Laura Canali. "La geopolitica senza mappe non può esistere" ha spiegato a Primocanale davanti alla gigantografia della prima di queste mappe, particolarmente preoccupante perché si parla di bombe atomiche. "Il giallo di Russia, Iran, Corea del Nord e Cina è il colore degli sfidanti degli Stati Uniti. Questo è un momento storico eccezionale proprio per questo indebolimento che c'è stato negli Usa all'interno del Paese, e le altre potenze cercano di recuperare terreno. Questo è evidente per esempio in Niger: in questo momento c'è una base statunitense che è quella da cui partivano i droni per sorvolare il Sahel, la base 101. In questo momento ci sono sia soldati russi che americani: quest'ultimi sono stati invitati dal governo nigerino ad andare via".

I confini cambiano in continuazione, anche in un'Europa dove la guerra sembrava un ricordo lontano ma ha vissuto fasi difficili anche nella sua storia recente col crollo del muro di Berlino e la situazione nell'ex Jugoslavia. "Noi dobbiamo razionalizzare alcune cose - spiega Canali -. Intanto il muro di Berlino: il mondo era diviso in due parti, c'era un ragionamento tra le due fazioni e trai Paesi che ne facevano parte. Diplomazia e spionaggio facevano un enorme lavoro per mantenere la pace. Poi è caduto il muro, si è allentata la tensione nucleare che serviva per minacciarsi e non per farsi la guerra. Poi c'è stato l'11 settembre: gli americani hanno combattuto per decenni in questi deserti senza obiettivo e questo vuoto, questi morti nel vuoto, hanno creato una ripercussione, come se il vuoto del deserto fosse rientrato negli Stati Uniti. I familiari che hanno perso i propri figli in guerra non credono più nello stato e questo ha messo in discussione gli Usa, le altre potenze ne hanno approfittato perché la debolezza interna non consente di mantenere le posizioni all'estero. Questi sono passaggi che bisogna considerare altrimenti questo disastro che sta accadendo sembra frutto della follia, invece c'è una sequenza specifica".

C'è però un confine la cui assenza ha portato a decenni di guerra: quello tra Israele e Palestina. Secondo Canali "il conflitto israelo-palestinese rimane ancora regionale, non è un conflitto che prende una dimensione più grande" e "questo non consentirà un salto di qualità. I paesi arabi attorno non si prendono la responsabilità di accogliere i palestinesi e dargli una terra. Israele sta facendo una cosa per cui penso che per generazioni ci sarà la nascita di terroristi, l'odio e la sofferenza che nascono dalla mutilazione di queste famiglie non porterà ad un futuro pacifico, non ci sarà più quell' equilibrio che c'è stato fino adesso".