Giorgio Bocca, uno dei più grandi giornalisti italiani insieme a Indro Montanelli, Oriana Fallaci e Orio Vergani, uno dei maestri del giornalismo d'inchiesta contemporaneo è morto nel pomeriggio di Natale a Milano, nella sua casa. Aveva 91 anni, essendo nato a Cuneo nel 1920. Una famiglia della solida borghesia sabauda, dove Giorgio cresce appassionandosi da subito alle battaglie civili. Entra in Giustizia e Libertà, fa il partigiano per davvero e non per sentito dire, entra nei giornali. Tommaso Giglio (che è stato anche direttore del Decimonono alla fine degli anni Ottanta) lo vuole al mitico Europeo, mentre al Giorno che nella Milano degli anni Sessanta disegna un nuovo modo di fare il quotidiano, lo chiama Italo Pietra. Sarà poi tra i fondatori della Repubblica. Bocca è un attento osservatore della società che cambia: analizza l'Italia del boom, lo stragismo, gli anni delle Brigate Rosse, Tangentopoli e l'era berlusconiana con gli occhi di chi, coerente fino al fastidio, non accetta compromessi, ammiccamenti, generosità sospette. Bocca è anche nel fare giornalismo un partigiano: sta da una parte che ha sempre ritenuto giusta e non cede.
Con Genova ha un rapporto particolare e molto stretto. Ricordo alcune volte il suo arrivo da grande inviato al Secolo XIX, con noi giovani cronisti a seguire il suo modo meticoloso di lavorare. Semplice, montanaro, schietto, chiedeva a tutti notizie, approfondimenti, suggerimenti. Raccoglieva le informazioni da buon cronista. Poi, nel tardo pomeriggio, si metteva alla scrivania e scriveva il suo pezzo o tornava a Milano. Questo negli anni di piombo, questo, per esempio, nel lungo braccio di ferro che portò alla privatizzazione delle banchine, con uno scontro durissimo tra portuali e imprese che divenne scontro politico. Quella stagione che vide la trasformazione del Pci genovese e giocare un ruolo storicamente interessante al cardinale Giuseppe Siri e al console della Culmv, Paride Batini.
Partigiano nella città partigiana. Con le sua rubrica L'Antitaliano sull'Espresso il settimanale che diventerà il più duro accusatore dei fenomeni golpisti degli anni Settanta in cui anche Genova diventa piazza sfiorata dalle riunioni segrete con il principe nero Junio Valerio Borghese.
Ma il Bocca che preferisco ricordare è quello dei suoi saggi e in particolare di uno che resta un raro libro di storia, "Una repubblica partigiana", dove racconta con il ritmo della cronaca quotidiana la nascita e la brevissima vita, solo 44 giorni, della repubblica dell'Ossola che fu, in parte, imitata dalla repubblica partigiana di Torriglia.
IL COMMENTO
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