Lo stile sperimentale degli scrittori della Beat Generation ha reso il loro lavoro difficile da adattare per lo schermo tanto che registi di livello come Walter Salles che ci ha provato con ‘Sulla strada’ di Kerouac e David Cronenberg con ‘Il pasto nudo’ di Borroughs hanno ottenuto risultati non particolarmente convincenti. Adesso con Burroughs ci riprova Luca Guadagnino in 'Queer' utilizzando un romanzo scritto nei primi anni '50 mentre lo scrittore era in attesa del processo per il presunto omicidio accidentale della sua convivente Joan Vollmer pubblicato poi solo nel 1985. Praticamente un'autobiografia dove il suo alter ego letterario è Lee, qui interpretato da Daniel Craig: un espatriato americano che vive in maniera indolente a Città del Messico dopo la seconda guerra mondiale frequentando bar, bevendo, drogandosi e rimorchiando ragazzi. Per uno di questi, Gene, concepisce un'ossessione appassionata e insieme vanno in vacanza in Sud America perché Lee vuole provare un leggendario allucinogeno che conferirebbe poteri telepatici a chi lo usa. È un bizzarro viaggio attraverso la giungla amazzonica che annulla brevemente il dolore di quello che sospetta essere un amore non corrisposto e porta i due a contatto con una scienziata solitaria.

Una persona che si consuma a causa del desiderio
C'è il tipo di cotta adolescenziale che Guadagnino ha reso in modo vibrante in ‘Chiamami col tuo nome’ e il tipo di rovinosa ossessione sessuale e romantica che raffigura in ‘Queer’, uno sguardo strano e sconsolato a una persona che si consuma a causa del desiderio. Poi il film riguarda anche altre cose, come la vita di un espatriato o la ricerca di un'esperienza trascendente ma tutto sembra tornare alla fissazione di un uomo per un altro, una fame esasperante e mai sazia affrontando la dipendenza di Lee e la dinamica mutevole tra i due amanti cui aggiunge solitudine, amore, lussuria e – se pure in tono minore - la reciproca comprensione di se stessi.
Craig demolisce con successo la sua immagine di James Bond
Tuttavia, anche se Daniel Craig demolisce con successo la sua immagine di James Bond, per una storia d'amore che Burroughs aveva definito in gran parte univoca 'Queer' non riesce a incanalare la passione di Lee con lo stesso ardore autodistruttivo mostrandosi come un viaggio imperfetto nel disagio e nell'euforia regalata dalle droghe. Se il libro è considerato una sorta di stele di Rosetta che ha dato agli ammiratori di Burroughs l'intuizione che stavano cercando rendendo l’autore un idolo per artisti del calibro di Lou Reed e Patti Smith, questo film dice poco o nulla sulla vita interiore di Lee: ce ne andiamo senza conoscerlo meglio di quanto non lo conoscessimo all'inizio. Così la vacuità di 'Queer', la sua incapacità di dare corpo appieno alla psiche del suo eroe risulta alla fine un fallimento dell'immaginazione.
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