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 Giorgio Napolitano, a sette anni di distanza dalla prima volta che è stato eletto presidente della Repubblica, ha ottenuto una grande maggioranza di consensi, quelli che non ebbe allora quando al centro destra era apparso come una figura troppo radicata nell'antico Pci.

 

In sette anni di mandato, invece, meglio di molti altri predecessori, ha rappresentato l'unità del Paese e la garanzia per tutte le parti politiche. Oggi ha ripreso in mano il bandolo di una matassa che in un anno è stata scompigliata, riservando sorprese rivoluzionarie e drammatiche in un Paese che sta cambiando a velocità impressionante.

 

Lo strepitoso successo del Movimento5Stelle, la sorprendente riesumazione di Silvio Berlusconi, leader di un partito socialmente indecifrabile, la disfatta come una maionese impazzita del Pd che solo quattro mesi fa era dato per trionfante con un leader, Bersani, consacrato troppo presto, premier.



Napolitano, curiosamente, identifica una sorta di "presidenzialismo inedito": ha in mano la politica italiana come mai presidente ha avuto nella storia repubblicana. Le sue prossime mosse è prevedibile che saranno forti e rapide: individuazione di un premier, governo del Super Presidente, rispolvero della Magna Charta dei dieci saggi così velocemente giubilati dai politici, imposizione di scelte inequivocabili sulla legge elettorale.



Per i partiti e/o movimenti si apre un periodo traumatico. Ma non solo per il Pd, come i suoi oppositori ipotizzano, in realtà temendo per loro stessi, per il centrodestra che ancora una volta si deve rendere conto che esiste in quanto esiste il cavaliere, per i montiani che devono ridisegnare la loro forma e definire i loro contenuti, per il Pd dove ormai anche Renzi non è più Batman e per i 5 Stelle che si troveranno a dover decidere, votare, scegliere, partecipare.



E anche nelle periferie, questo vero tsunami istituzionale avrà conseguenze. La inesorabile scelta del giovane quasi novantenne Giorgio Napolitano scardina definitivamente le teorie debolucce di chi pensava che il nuovo si fa solo con novità generazionali e che idee e progetti sono soltanto ininfluenti particolari.