Il processo più temuto è in arrivo. E Silvio Berlusconi accelera sulla crisi di governo. Giornata campale, quella del Cavaliere, fra brutte notizie recapitate da Napoli e incontri per verificare la tenuta del Pdl di fronte alla scelta di staccare la spina all'esecutivo, utilizzando la legge di stabilità come elemento per far scattare il corto circuito.
L'obiettivo principale è quello di disinnescare il pronunciamento della Giunta per le elezioni sulla sua decadenza da senatore, provvedimento che potrebbe arrivare - mentre ci si interroga e si polemizza sulla decisione di votare in modo palese o segreto - dopo che la Corte d'Appello di Milano ha stabilito in 2 anni di interdizione dai pubblici uffici la pena accessoria ai quattro anni che sono stati inflitti al Cavaliere per frode fiscale sul caso dei diritti televisivi Mediaset.
Secondo i rumor raccolti negli ambienti parlamentari, Berlusconi potrebbe partire all'attacco già domani, avviando una strategia che dovrebbe definitivamente compiersi nei primi giorni della prossima settimana.
Il leader del Pdl ha avuto incontri che con Alfano, vicepremier, coordinatore nazionale del Pdl e leader della corrente governativa, e con Raffaele Fitto, che invece guida i cosìdetti lealisti, cioè coloro che, appunto, stanno "senza se e senza ma" con il Capo e sono pronti a far saltare il governo. Illuminante, in tal senso, una dichiarazione di Maria Stella Gelmini, ex ministro dell'Istruzione: "Questo governo doveva garantire un clima di pacificazione e ciò non vuol dire che bisognava garantire un favore o un trattamento privilegiato a Berlusconi perché questo noi non l'abbiamo mai chiesto, non è nelle corde e nel carattere del presidente Berlusconi e credo sarebbe stato anche sbagliato. Il clima di pacificazione voleva dire introdurre tra le riforme da fare quella della giustizia - spiega - significava garantire nella Giunta per le elezioni un comportamento corretto e una terzietà sul caso Berlusconi e non un plotone di esecuzione per eliminarlo. Anche su temi come il finanziamento pubblico sembrava più importante per il Pd impedire a Berlusconi di finanziare il suo partito che garantire il risultato" osserva. "Quindi il clima di pacificazione non c'è stato e non mi riferisco al presidente Napolitano, ma penso che nei confronti di Berlusconi c'è stato un totale disinteresse rispetto alla sua condizione, nonostante abbia garantito i numeri al Governo e sia stato il primo ad appoggiarlo".
I riflettori si sono subito accesi sul Senato, dove si gioca il destino dell'esecutivo: alla Camera, infatti, il Presidente del Consiglio può contare sui numeri del suo stesso partito, il Pd, mentre a Palazzo Madama è necessario che avvenga "qualcosa". E questo "qualcosa" consiste, come ormai noto, nella possibile fuoriuscita dal Pdl di circa 24 senatori, che sarebbero pronti a costituirsi in gruppo autonomo garantendo il loro sostegno al governo. Questi voti si aggiungerebbero agli 11 di Scelta civica, il gruppo di senatori eletti sotto le insegne del partito voluto dall'ex premier Mario Monti che, solo pochi giorni fa, lo ha lasciato proprio perché in posizione critica nei confronti di Letta e della sua azione, con particolare riferimento alla legge di stabilità. Il paradosso è che il Professore ha criticato gli undici addebitando loro la volontà di schierarsi con il centrodestra, ma adesso rischia di essere proprio lui a trovarsi accanto a Berlusconi nel far mancare l'appoggio all'esecutivo.
L'accelerazione del Cavaliere sulla crisi di governo, dunque, potrebbe portare alle estreme conseguenze anche il cambiamento della geografia parlamentare e da questo punto di vista un ulteriore passaggio chiave si avrà domani, con la riunione del gruppo di Scelta civica al Senato che potrebbe portare alle prime "decisioni forti", cioè a una spaccatura verticale o alla "presa del potere" da parte degli 11 (più, giova ricordarlo, il ministro della Difesa Mario Mauro), che contano sulla maggioranza e potrebbero, come primo atto, anche decidere di cambiare il capogruppo Susta.
In tutto questo tourbillon si incastona la decisione del gup di Napoli Amelia Primavera, che ha rinviato a giudizio Silvio Berlusconi e Valter Lavitola per la vicenda della compravendita di senatori che nel 2008 provocò la caduta del governo guidato da Romano Prodi. Come si ricorderà, la vicenda è stata alla fine svelata dall'ex senatore Sergio De Gregorio, il quale ha confessato di aver incassato del denaro e ha patteggiato una pena di 20 mesi. La circostanza è stata confermata dallo stesso Lavitola, anche se il giornalista, rendendo dichiarazioni spontanee, ha precisato che quel denaro "non serviva per corrompere De Gregorio".
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Berlusconi di nuovo a giudizio. E ora accelera sulla crisi di governo
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