
Tra il 3 e il 4 novembre almeno 220 persone furono caricate sui camion e spedite su carri bestiame verso le fabbriche della morte. Solamente otto tornarono. Per la comunità ebraica ligure la settantesima ricorrenza ha una valenza molto forte: la durata di una vita. Quelli che hanno visto la Shoah stanno morendo, tra un po’ non ci saranno più testimoni. Se è vero che la memoria familiare dura non più di tre generazioni, quel tipo di memoria è a un passo dall’estinzione.
Genova (nel senso delle istituzioni) non dimentica le sue ferite, le sue cicatrici di guerra. Per il prossimo 3 novembre la Comunità ebraica ha organizzato una fiaccolata che, partendo dalla Sinagoga, arriverà al Teatro Carlo Felice. Sindaco e autorità non mancheranno all’appello. Per alcuni rappresentanti della politica sarà un atto ‘pubblico’, per molti un’adesione dell’anima. Per Italo Calvino “la storia è fatta di piccoli gesti anonimi”, a cominciare dalla presenza a una fiaccolata.
Genova (nel senso dei genovesi) ha il diritto-dovere di spingere le nuove generazioni a custodire la memoria. Ci sono momenti storici in cui, al di là degli steccati confessionali, si sente il bisogno di fare quadrato su valori etici e morali comuni alla maggioranza. Il funerale di Erich Priebke, boia delle Fosse Ardeatine, e le manifestazioni pubbliche di dissenso ci suggeriscono che il 3 novembre la Liguria ha la sua occasione per difendere l’eredità storica dei nonni dall’offensiva dei negazionisti.
IL COMMENTO
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