Una vergogna. E’ l’unica parola che può qualificare la nuova, ennesima tragedia consumatasi a Genova per colpa delle piogge torrenziali e delle esondazioni di Bisagno, Fereggiano, Sturla e Carpi. Come nel 2011, peggio che nel 2011. C’è stata una vittima. Le abitazioni, i negozi, i garage e gli scantinati allagati, le strade ridotte a torrenti in piena di acqua e fango, auto travolte e spostate come fuscelli, cassonetti della spazzatura che vagavano come schegge impazzite pronte a colpire. Una scena apocalittica e un pensiero angosciante: se l’alluvione si fosse materializzata anche solo nel tardo pomeriggio, con uomini, donne e bambini ancora in circolazione, magari solo per rientrare a casa, sarebbe stata una strage. E’ un vocabolo che scrivo dopo averci pensato bene, ma questo è. Perché questo è il rischio che Genova ha corso.
Tutto è avvenuto senza uno straccio di allerta. L’Arpal s’è fermata all’avviso, gli uffici della Protezione civile di Regione Liguria e Comune di Genova si sono adeguati. Addirittura, alle 18,50 di ieri è comparso un tweet. Questo: “Situazione: alle 19 sarà disattivato il servizio numero verde di Protezione Civile”. C’è bisogno di commenti? L’Arpal sostiene che i modelli meteo da loro utilizzati non davano risultati che inducessero ad emettere l’allerta. Non ho le competenze tecnico-scientifiche per ribattere alcunché. Dico solo che ad un certo punto anche la scienza si arrende al buon senso: modelli o non modelli, bastava affacciarsi a una finestra per capire, o anche solo temere, che la situazione sarebbe degenerata. Il prodromo c’era stato a Montoggio, con l’esondazione dell’affluente dello Scrivia.
Dal 2011 in poi, quante volte, l’Arpal e la Protezione civile ci hanno detto, con tutte le buone ragioni del mondo, che di fronte agli eventi naturali bisogna essere prudenti, prudentissimi? Ebbene: dov’è finita, in casa loro, quella prudenza? La verità è che i ragionamenti e le mosse conseguenti hanno seguito il cieco, insensato, folle percorso della rigidità burocratica: i modelli meteo ci dicono che non c’è da prevedere nulla di grave? Bene, anche se fuori dalle stanze dei tecnici si sta scatenando il finimondo, quel finimondo è virtuale. Vuoi mettere la precisione della tecnologia con il fiuto, sebbene ormai animalesco delle persone, che invece cominciano presto ad avere il cuore e l’animo gonfi di ansia e terrore?
Il primo sms di allarme è arrivato alle 23:33 di ieri, quando ormai la situazione era fuori controllo. Il ritardo della macchina organizzativa era irrecuperabile e intere zone della città sono rimaste senza vedere chicchessia. Inevitabile. L’ira dei genovesi è esplosa, in modo composto, ma risoluta. Sui social network e con il profluvio di telefonate al nostro centralino. Primocanale è andato in diretta a partire dal tg delle 22:30 (ah, mi è bastato vedere quanta pioggia stava cadendo per mobilitare, e per farlo occorrono dei tempi tecnici, la redazione…) e non c‘è stato un solo momento, anche nel cuore della notte, in cui l’apparecchio abbia smesso di squillare.
Le testimonianze della rabbia si sono mischiate a quelle dei molti, moltissimi che subito si sono messi a disposizione delle famiglie e degli operatori economici alluvionati.
All’istante gli “angeli del fango” hanno utilizzato i social network per cominciare a radunarsi e organizzarsi, mentre i municipi della Bassa Valbisagno e della Media Valbisagno avevano già aperto i battenti, con i loro presidenti, Massimo Ferrante e Agostino Gianelli, in campo a coordinare i primi interventi. Ma anch’essi furiosi: “Nessuno ha dato l’allerta”. Le stesse parole pronunciate dal sindaco di Genova, Marco Doria, che l’emergenza ha strappato dalla prima al teatro Carlo Felice, dove si trovava. Perché, appunto, l’apparato di prevenzione era andato in corto circuito. L’acqua non si sarebbe potuta fermare, ovvio, molto di quanto accaduto, invece, avrebbe potuto aver un impatto minore. Soprattutto, si sarebbe probabilmente evitato che l’alluvione facesse l’ennesima vittima.
Nei giorni scorsi si è aperto il processo all’ex sindaco Marta e ad altri imputati per l’inondazione di tre anni fa. Questi tre anni sembrano trascorsi invano, in un rincorrersi di interventi di prevenzione (a cominciare dalla pulizia dei corsi d’acqua) vanamente richiesti dai cittadini e con le istituzioni locali a spiegare che le cose si fanno, ma che “i soldi sono pochi”. Ecco, stiamo impiccando le nostre vite a una spending review condotta in modo scellerato, dopo averla appesa alla cementificazione selvaggia e all’incuria del territorio, che ora ci sbattono in faccia tutte le tragiche conseguenze.
Regione Liguria, Comune di Genova, Protezione civile e Arpal dovranno dare delle risposte sul perché l’allerta 2 sia scattata solo oggi intorno alle 11,30. Risposte chiare ed esaustive. E se delle teste dovranno rotolare, che rotolino. Siano esse di politici-amministratori o di chiunque abbia avuto delle responsabilità in questa vicenda.
So benissimo che molte anime candide diranno che non è il momento delle polemiche, qualcuno parlerà persino di caccia alle streghe. Ma il diritto di scrivere quello che scrivo mi viene dal dirigere un’emittente televisiva che ha fatto, subito e con il massimo sforzo, ciò che era necessario. Ho provato orgoglio, per me e per i colleghi, quando alcuni telespettatori hanno detto “siete i soli a esserci vicini”. Ma anche un’infinita pena, perché da cittadino mi aspetterei e desidererei che fossero le istituzioni a raccogliere quel consenso. Perché capaci di muoversi con efficacia. E, soprattutto, prima della tragedia. Quello che scrivo, allora, è anche un dovere verso quelle persone e verso tutti i genovesi. E’ a loro che le istituzioni ora devono dare una spiegazione. Almeno questo.
cronaca
La vergogna dell'allerta zero
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