
Il secondo comma dell’articolo 75 della nostra Costituzione testualmente recita: “Non è ammesso il referendum per le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali”. Ne abbiamo letto e ascoltato fino alla nausea, tuttavia giova ripeterlo: su determinate materie, ciò che pensa il popolo potrebbe essere smentito dal Parlamento, per il supremo bene del Paese.
Leader che inseguono i like
Se dobbiamo venire all’oggi e ci capita di leggere sul Secolo XIX l’articolo di Alessandra Ghisleri, nota sondaggista italiana, abbiamo la plastica dimostrazione del perché i Padri Costituenti si siano preoccupati di sottrarre alcuni argomenti alle “grinfie” degli elettori. Non ce n’è praticamente una che la gente condivida in tema di guerra in Ucraina, riarmo dell’Ue, politiche di Trump e di Putin, atteggiamento del governo italiano. Meglio: nessuno vuole truppe italiane “laggiù” (come dice la premier Giorgia Meloni, che però ha sostenuto il riarmo di Ursula von der Leyen) e molti sono d’accordo con Giuseppe Conte (5 Stelle) e Matteo Salvini (Lega) che non bisogna spendere soldi per le armi (sebbene entrambi abbiano preso a suo tempo decisioni opposte).
Il punto di tutta questo storia è semplice: la Costituzione impedisce che le persone possano esprimersi su determinati argomenti perché c’è una grande fiducia nella Politica, quella con la “p” maiuscola. Capace, cioè, di fare l’interesse della comunità a dispetto di chi appartiene a quella stessa comunità. Peccato che non sia più così. Il cattivo esempio viene proprio da parlamentari, ministri e leader a vario titolo: tutti a dire tutto e il contrario di tutto pur di ottenere qualche voto in più o qualche “like” sui social media.
Reticenze e giudizi frettolosi
Prendiamo la questione che sta agitando la campagna elettorale per le elezioni comunali di Genova: la presenza di Silvia Salis, candidata sindaca per il centrosinistra, nell’advisory board di Fondazione Lottomatica. Quanti genovesi lo sapevano? Io no. Ma non sono genovese ed essendo avanti negli anni è possibile che sia pure un po’ rincoglionito. Però non ricordo che lei lo abbia detto oppure che lo abbia detto così chiaramente che almeno i più avveduti se ne siano accorti.
Così sono saltati fuori Mattia Crucioli, candidato sindaco di Uniti per la Costituzione, a rivelarlo e Pietro Piciocchi, candidato del centrodestra, a dire che l’avversaria predica in un modo e razzola in un altro. Ora, sinceramente fatico a vedere Salis che favorisce il gioco d’azzardo. Tuttavia trovo di buon gusto che una volta candidata abbia lasciato Lottomatica. Anzi, lo trovo opportuno, visto che sulla opportunità politica spesso il centrosinistra ha fondato le sue battaglie a sostegno della magistratura e delle sue inchieste. Anche quando sono finite in niente.
Però: che cosa sarebbe costato dirlo, in assoluta trasparenza? Ecco, di questa politica reticente, se non proprio omertosa, è difficile avere fiducia. E anche di quella che trae delle conclusioni come minimo affrettate. Perché un conto sarebbe stato chiedere a Salis se rispondevano al vero la sua presenza alla Fondazione Lottomatica e le sue dimissioni seguite alla candidatura, mentre altro è che Crucioli e soprattutto Piciocchi, il vero antagonista, ne abbiano immediatamente approfittato per ricavare dalla vicenda un giudizio morale. Pure questo a mio avviso è sbagliato.
Dunque, se prima o poi saltasse fuori uno a dire che il secondo comma dell’articolo 75 della Costituzione va rivisto non mi stupirei. Ero, sono e sarò contrario. Ma di questa politica è davvero difficile avere fiducia. Forse, impossibile.
IL COMMENTO
La Costituzione, Salis in Lottomatica e la politica di cui non puoi fidarti
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