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Dopo la scelta del ministro Franceschini sui musei
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Ribattere affermando che non sarà un direttore tedesco o inglese, francese o americano a risollevare lo sorti abbastanza miserevoli del mondo museale italiano è una frase talmente banale da non meritare riflessioni o, peggio, dibattiti. Uno è fesso sia col passaporto italiano che tedesco, con quello di sua maestà britannica o degli Stati Uniti. Ma è il principio lanciato dal ministro Franceschini a essere rivoluzionario. Non in Europa o nel mondo, ma in Italia. Perché, secondo alcuni di noi, a dirigere gli Uffizi ci dovrebbe andare uno toscano, per Pompei ci vorrebbe un partenopeo e per Brera un lumbard. E a Genova se uno non dice belin non ha capacità di fare niente.

Franceschini ha detto di no a questo metodo che non è provinciale, ma soltanto sciocco. Evviva i direttori dei musei che arrivano da Berlino o Londra, magari dopo esperienze a Chicago o a Parigi, a Sidney o a Madrid. Evviva se questo metodo europeo (l’Europa e gli Usa sono pieni di italiani ai vertici di eccezionali istituzioni museali e scientifiche) non si fermerà all’arte (che ha tantpo bisogno di idee innovative , ma anche di demolitori di meccanismi basati su un becero sindacalismo o su rendite di posizione assurde). Sarà soltanto un bene se il metodo delle porte aperte allo straniero (con merito) si estenderà ad altri settori.

Per esempio alla Sanità. Sarei felice se un inglese portasse l’esperienza della sanità anglosassone in Italia e se un francese facesse lo stesso, magari in Liguria. Se un esperto di Nizza, per esempio, venisse a guidare una nostra Asl o se un manager svedese andasse a organizzare l’ospedale di San Martino.

E poi ancora di più: i porti: Genova nelle mani di un manager di Amburgo e Savona di uno di Anversa. E le autostrade, o le aziende della raccolta dei rifiuti urbani. Pensate se arrivasse un bavarese di Monaco a guidare l’Aster che ha il record europeo dei cantieri più persistenti: si fa il buco in strada, si recinta e si scompare.

Se abbiamo paura di quelli che vengono da fuori è finita. Non provinciali, ma imbecilli.

Bravo ministro Franceschini. Proviamoli questi stranieri doc e vediamo che cosa riescono a fare. Il cambiamento fa bene, se non altro perché porta aria nuova, un nuovo modo di pensare e di agire, nuove relazioni internazionali. Cambiare fa bene anche in politica, sveglia idee, stimola azioni coraggiose, ripulisce.

Potrebbe essere un efficace grimaldello per scardinare usi e costumi che hanno bloccato ogni novità. Per cancellare la filosofia del “meglio non cambiare niente che maniman” così incardinata nel nostro Paese. E così devastante nella nostra città.