cronaca

Sui processi: "Genova è una città paludosa e accondiscendente, serviva un segnale"
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Tre alluvioni, le spese pazze, le infiltrazioni, le turbative d'asta e non solo. Sono stati numerosi e importanti gli impegni processuali per Michele di Lecce, 72 anni, quattro anni e poco più a capo della Procura della Repubblica di Genova, che ora approda alla pensione. Una città "paludosa e troppo accondiscendente, che aveva bisogno di un segnale", come ha detto a Primocanale nell'intervista condotta da Mario Paternostro e Franco Manzitti.

A Certosa un pedone è stato investito e ucciso da un uomo ubriaco e drogato alla guida. La reazione del quartiere è stata molto forte. Come giudica questo fatto e cosa pensa dell'omicidio stradale?
È un fatto grave come altri verificatisi di recente. Non c'è bisogno di introdurre nuovi reati, nemmeno l'omicidio stradale. Meglio lavorare sulle pene e sulle previsioni di reato che esistono oggi, magari con modifiche marginali sulle attenuanti e aggravanti per ottenere una pena equa. Si può andare incontro alla reclusione da 7 a 9 anni, che non è lieve. Un nuovo reato è una risposta di immagine. Lo si introduce come se potesse servire da deterrente. Può darsi. Ma francamente non credo che la deterrenza derivi da un reato specifico o da una pena teorica. La deterrenza vera deriva dall'effettività della sanzione, non dagli anni di prigione minacciati. Ciò che vale è quello che in concreto si riesce a far scontare a chi incorre in fatti gravi come questo

Per quattro anni ha visto questa città dall'angolo visuale della Procura. Che immagine ne ha avuto?
È stata una visione complessiva, ovviamente deformata dalla mia posizione, che è chiamata a valutare la parte patologica. Genova aveva bisogno non dico di uno scossone, ma di un segnale di presenza dello Stato in alcuni settori, come i rifiuti, la corruzione nella Pubblica Amministrazione e altri.

E ci siete riusciti?
Non tocca a me dirlo. Io spero di sì. L'impegno che ho messo era di non far cadere segnalazioni o notizie arrivate da varie fonti. E su questo mi sono impegnato, forse ci sono riuscito.

Genova è una città corrotta?
In parte sì, in larga parte. Corrotta nel senso più generale del termine. C'è una certa accondiscendenza a fenomeni che possono essere più o meno rilevanti, ma che alla fine finiscono per determinare una distorsione dei rapporti tra i soggetti. Spesso si tende a sottovalutare o a non considerare un comportamento che di per se stesso non è illecito, ma che può essere spia di un fenomeno difficile da controllare. E questo comportamento diventa rilevante in materia di criminalità organizzata.

E se questa fosse una città mafiosa?
Non credo. Ma non è immune da presenze di mafia. Dire che tutta la città vive in un contesto mafioso sarebbe improprio. Ma dire che la mafia o le organizzazioni di tipo mafioso non ci sono a Genova e in Liguria sarebbe ugualmente sbagliato. Non solo perché lo dimostrano le indagini, ma perché nel corso degli anni si sono formate due o tre generazioni diverse che ormai sono parte integrante della società ligure. Si tratta di soggetti stabili che si rapportano in qualche misura con le case madri.

Lei ha parlato di accondiscendenza, dando l'immagine di una città paludosa. È così?
È così. Potrei avere una visione distorta, ma l'immagine generale è questa. Io ho cercato di capire a grandi linee la realtà in cui sono chiamato a operare. In parte credo di esserci riuscito. Per un Procuratore è impossibile operare al meglio senza rendersi conto di questo.

Riguarda tutti gli ambienti?
Direi proprio di sì.

Uno dei processi più eclatanti è stato quello che noi abbiamo definito delle “spese pazze”. Quali sono stati i rapporti tra il suo ufficio e la classe politica genovese?
In genere ho sempre mantenuto rapporti corretti e istituzionali con tutti, anche con chi era in quel momento in carica o con chi lo è stato in passato. Abbiamo cercato di farlo come ufficio nel suo complesso, e su questo mi sono impegnato molto. In questo modo non abbiamo mai ricevuto pressioni da nessuno. Quel processo ha aperto un quadro di malcostume diffuso, non solo in Liguria ma nella quasi totalità delle regioni italiane: la spesa di denaro pubblico finalizzata a indirizzo politico utilizzato per fini personali. La stampa ha parlato di alcuni episodi eclatanti. In effetti, quando si addebita al pubblico lo scontrino del caffè da un euro vuol dire che siamo caduti in basso.

Secondo lei la politica ligure è più o meno corrotta che altrove?
Siamo allo stesso livello. Può darsi, anzi, che in qualche zona il malcostume sia anche più grave. Non mi sembra che si possa stilare una graduatoria negativa con la Liguria ai primi posti.

Il processo per l'alluvione del 2011 è stato per molti versi drammatico. Ma, a parte i cammuffamenti, la responsabilità del politico è complicata da definire.
I consulenti hanno dato un quadro complessivo di responsabilità che hanno origine nel tempo: l'urbanizzazione scellerata, la mancanza di interventi sul territorio. Noi, però, ci siamo concentrati sulla responsabilità degli amministratori per non aver predisposto strumenti di avviso e contenimento dei danni. Nessuno può chiedere che non piova, o la ragione del perché cinquant'anni fa i decisori abbiano fatto certe scelte. Ci si chiede, invece, perché alcuni meccanismi non hanno funzionato come dovevano. Per quanto riguarda il 2011, l'interesse si è accentrato da una parte su strutture comunali e dall'altra su quelle regionali, con carenze di diverso tipo. Ovviamente non è il mio ruolo emettere decisioni. Ma da cittadino ho constatato che dopo il nostro intervento sono cambiate alcune misure. Di fatto è così. Certo è che nessuna delle ultime alluvioni era imprevedibile. Non sono stati eventi eccezionali, tutti i tecnici lo hanno confermato. Lì sono nate le attribuzioni di responsabilità da parte dalla politica.

Ci siamo sentiti dire spesso: 'Ma chi vuol fare il sindaco, con ciò che si rischia?'. Secondo lei è un timore giusticato?
Fare il sindaco è difficile non tanto per ciò che si rischia, ma per l'attività in sé e per le condizioni in cui bisogna operare. Al di là delle capacità, amministrare una città è sempre più complesso. Non accentuerei il lato delle responsabilità, anche perché l'azione penale è sempre l'ultima spiaggia, l'ultima difesa dell'ordinamento. Se si arriva a tanto, vuol dire che prima non ha funzionato nulla.

Un magistrato che indaga può sorprendersi di scoprire fatti clamorosi?
Può sorprendersi e credo sia corretto che si sorprenda. Il problema è come si portano avanti le indagini e a che livello si approfondiscono. Il numero di procedimenti per reati nella pubblica amministrazione si è mantenuto costante negli anni. Ma a volte le indagini hanno portato a scoprire realtà che non ci si aspettava.

Che idea si è fatto di Genova e dei genovesi?
Ricordo la definizione di un noto anziano genovese che quando mi venne a salutare mi disse: “Genova è una bellissima nave con un pessimo equipaggio”. È una definizione abbastanza calzante. Ma dell'equipaggio non direi pessimo, magari difficile. Potrei aggiungere che la nave è all'ancora.

In una palude?
Sì, in una palude.