A Genova abbiamo perduto il senso del “bene comune”? Alcuni atteggiamenti, piccoli e grandi, mi fanno pensare di sì.
La città è mal tenuta, ma non è colpa solo del Comune disattento è soprattutto colpa nostra. Osservate i cassonetti della spazzatura dedicati alla raccolta della carta. Rigurgitano di scatoloni non piegati. A fianco dei cassonetti c’è di tutto. Ho visto anche materassi, sedie, televisori.
I marciapiedi a mosaico di via XX Settembre che il Comune ha restaurato in maniera perfetta con un lungo e costoso lavoro sono ritornati come prima, zeppi di chewingum schiacciati.
I cani sono cresciuti in maniera esponenziale e in maniera esponenziale è cresciuta la maleducazione di tanti proprietari che, in realtà, non hanno il cane perché lo amano, ma solo perché oggi è uno status e affidano i loro animali a dogsitter che non riescono a controllare le ripetute e molteplici defecazioni degli assistiti a quattro zampe.
I muri e le facciate dei palazzi della città, in ogni quartiere, sono imbrattati da scritte e graffiti. Non ho mai visto niente di simile nelle altre città europee. Anzi, da noi esiste qualche Imbrattatore con la benevolenza di Palazzo Tursi.
Piccolezze. Veniamo ai temi più pesanti. Le concessioni demaniali.
Comincio dalle spiagge tema sul quale Primocanale una decina di anni fa fece una battaglia chiedendo al Comune una vera, grande e dignitosa spiaggia pubblica per i genovesi. Speriamo che il Blue print di Renzo Piano ce la regali! Le spiagge sono spazio pubblico, dello Stato, quindi di tutti noi. Ne dovremmo godere liberamente, pagando le tasse. Giusto, però, che siano belle, attrezzate, comode, col ristorante e il bar e che alcuni imprenditori se ne occupino, ricavandone il giusto tornaconto di impresa. Ma ingiusto che questa concessione sia un “dovere” dello Stato verso i balneari. Dunque concessioni sì, certe sì, ma regolate, limitate all’ampiezza del litorale e al diritto assoluto alla spiaggia libera, messe a gara in modo trasparente e con chiarezza dei benefici per lo Stato, cioè per tutti noi. Gara vuol dire che tutti, proprio tutti, con requisiti, impegni, garanzie possono parteciparvi. Al di fuori delle lobbies che sono l’area più forte della Liguria.
L’assessore Marco Scajola dovrebbe impegnarsi per il bene comune essendo un amministratore pubblico e non per il bene di alcuni. Nel bene comune ci può stare dentro tutto, il diritto dei cittadini e quello di chi fa impresa seriamente.
Idem per le concessioni degli spazi portuali. Chi li ha fatti i moli del porto di Genova (a parte i mecenati dell’Ottocento)? I privati? Mi pare di no. Sono un altro bene pubblico, dello Stato e, quindi, di tutti i genovesi non solo di alcuni. Magnifico che vengano utilizzati per fare impresa, per lo sviluppo economico della città con possibilità di indotto generale, per creare posti di lavoro. Ma anche in questo caso la trasparenza, le regole, le garanzie, insieme al tornaconto sacrosanto degli imprenditori e al beneficio per i genovesi ci devono essere.
Tutto, dunque, è riconducibile al concetto di “bene pubblico” da mettere al servizio di tutti. Come le concessioni radiotelevisive? Certamente. Come le concessioni radiotelevisive. L’etere è di tutti, va utilizzato con gare trasparenti, tempi certi e non eterni, prezzi adeguati, garanzie di occupazione e lavoro, certezze di sviluppo economico.
Senza lobbies che mi pare siano sempre di più la forza e la debolezza della nostra città. Le parole dell’ex procuratore Di Lecce a Primocanale insegnano. La città paludosa, se vuole riscattarsi, deve avere il coraggio di rifondarsi dalle basi. Non è impossibile e non bisogna soltanto allargare le braccia e sbuffare annoiati o infastiditi.
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Genova non perda il senso di “bene comune”
Spicchi d'aglio
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