politica

A Genova troppo ottimismo dopo il vertice romano
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Un sottosegretario, a un vertice romano, non si nega a nessuno. È come il titolo di "dottore", sempre elargito a piene mani. E poi l'immaginate un governo che all'improvviso, mentre ancora deve sapere quali e quante saranno le offerte per acquistare (o affittare) l'Ilva, si pregiudica in negativo ogni opzione, uscendosene a dire che l'accordo di programma per Genova non è più valido?

Faccio molta fatica, dunque, a vedere buone ragioni per giudicare soddisfacente l'esito dell'incontro di ieri. È stato un summit come ce ne possono essere tanti, normale nella sua dinamica e nella sua conclusione assolutamente interlocutoria. Difatti, attenzione alle parole, il sottosegretario Teresa Bellanova, forse non casualmente con trascorsi da sindacalista, spiega: "L'accordo di programma andrà reso esigibile dopo il 10 febbraio".

Questo semplicemente significa che tutto dipenderà dalla risposta del soggetto - cordata italiana o cordata mista fra imprenditori italiani e stranieri si vedrà - che davvero vorrà prendersi l'Ilva. E stando così le cose, va da se' che il vertice rivela di essere stato monco, perché al tavolo romano mancava uno degli interlocutori, oltretutto il più importante. Da quale rosa di candidati uscirà lo si saprà appunto dopo il 10 febbraio, quando scade il termine per la presentazione delle manifestazioni di interesse. Ma il suo nome si conoscerà quando inizierà il negoziato in esclusiva: quello sarà il momento cruciale di tutta la vicenda.

Per carità, il governo potrà giocare di "moral suasion" e spingere politicamente affinché il nuovo proprietario del colosso siderurgico riconosca la validità dell'accordo di programma, però non è detto che ci riesca. Di più: è improbabile che l'esecutivo punti i piedi se il potenziale acquirente si presenterà con il denaro fra i denti e un piano industriale credibile, ma con la richiesta di rimuovere qualsiasi ipoteca (anche occupazionale) che possa condizionarne le mosse future. O davvero qualcuno pensa che in nome di Genova (quando l'epicentro del caso è Taranto) il governo possa far saltare il banco?

Peraltro, fra i tanti che si potrebbero ricordare, proprio all'ombra della Superba c'è un precedente illuminante: la privatizzazione dell'aeroporto. La prima gara andò deserta perché l'allora sindaco Marta Vincenzi pretese di inserire nel bando una clausola di salvaguardia dei livelli occupazionali. Sommato agli altri punti controversi dell'appalto, tanto basto' per far fuggire ogni possibile pretendente. E il "Colombo" è ancora lì che deve essere venduto.

La verità, allora, è che la partita dell'Ilva neppure è cominciata. E non c'è alcuna ragione per essere soddisfatti di alcunché dopo il vertice romano. Al massimo si è incastrato qualche tassello di tattica sindacale - vedi alla voce Fiom Cgil - declinata in salsa genovese. Ma non pare casuale che il leader nazionale della stessa organizzazione, Maurizio Landini, stia mantenendo (giustamente) un tratto di vigile prudenza, aspettando di sapere chi sarà la vera controparte.

Poi, certo, esiste uno scenario in base al quale la validità dell'accordo di programma genovese potrebbe risultare effettivamente confermato dall'incontro romano. È quello che vede l'Ilva ancora in mano allo Stato, se la gara finisse nel nulla. In tal caso, già al tavolo di ieri c'era il nuovo proprietario, per l'appunto il governo stesso. Ma questa è tutta un'altra storia. Che probabilmente non verrà mai scritta.