
"Sono state emozioni fortissime - ha detto Pollicardo - e ho passato la notte a condividerle con la mia famiglia e i miei amici. La prima cosa che farò sarà andare a salutare mia mamma al cimitero. Credo che una mano ce l'abbia messa anche lei".
Un'esperienza drammatica, quella di Pollicardo e Calcagno, durata sette mesi e mezzo. Un tempo lunghissimo, che diventa difficile anche da contare: "Non avevamo né cellulare né orologio e contavamo i giorni secondo le preghiere chiamate dai mujaheddin nelle moschee. Era una delle cose che facevamo per tenere in servizio il cervello. Il problema è nato quando siamo arrivati al 28 febbraio. Nessuno si ricordava se fosse bisestile".
Il pensiero poi va a Salvatore Failla e Fausto Piano, i due colleghi uccisi il giorno prima della liberazione: "Forse riescono a portare le salme dei miei compagni oggi in Italia - ha detto Pollicardo - Credetemi, il pensiero va alle loro famiglie". Anche la moglie di Gino Pollicardo, Ema, rivolge un pensiero alle famiglie dei due italiani uccis: "Sono contenta ma è una gioia velata di tristezza. Sarebbe stata vera gioia se fossero tornati tutti e quattro".
"AVEVA BISOGNO DELLA FAMIGLIA" - "La prima cosa che ha fatto, ha abbracciato il nonno. Poi ci ha raccontato quello che e' successo. Aveva bisogno del calore della sua famiglia e dei suoi amici", ha detto Jasmine Pollicardo, la figlia diciottenne del tecnico rapito in Libia e tornato a casa a Monterosso dopo mesi di prigionia. Gino Pollicardo ba dormito poco: "Stamani l'ho visto un po' piu' fresco - ha detto Jasmine - penso che non abbia dormito ma che sia riuscito a riposare un po'". Certo, "c'è stato un miracolo. Qualcuno ci ha messo una mano". Ripartirà? "Per adesso non se ne parla. Adesso è qui e si gode la sua famiglia".
IL COMMENTO
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