Pubblico? Privato? Sistema misto? È intorno a queste tre opzioni che il dibattito sul futuro del trasporto pubblico ha vissuto in Italia negli ultimi anni. La Liguria non fa differenza e ancor più Genova, dove il caso-Amt resta dirompente con il suo carico di costi esorbitanti, che sono stati prima la causa e poi l'effetto di una politica ingombrante come mai si è vista.
Per stare a Genova, la sensazione è che la vicenda venga affrontata partendo dal fondo. Al contrario, la decisione propedeutica è stabilire che cosa si voglia fare del trasporto pubblico, scegliendo un disegno strategico al quale segua un conseguente piano industriale. Alla luce del quale, infine, stabilire da chi debba essere gestito il servizio.
Alle latitudini genovesi, però, una vera strategia non c'è. O se c'è non si vede. La sola che è stata messa in campo, il bacino unico regionale, si è scontrata con la resistenza (e i ricorsi) delle altre province, desiderose di mantenere poltrone (vedi alla voce consigli di amministrazione delle singole società) e controllo di un potere, anche elettorale, che altrimenti andrebbe dissolto.
Per onestà intellettuale va chiarito che neppure il resto d'Europa ha trovato il modello ideale: dai Paesi scandinavi a quelli mitteleuropei, per arrivare alla vicina Francia, il cammino del trasporto pubblico è stato e rimane accidentato. Qualsiasi opzione abbia prevalso, tutte hanno rivelato punti deboli che si stanno rivelando insormontabili.
La questione, dunque, è maledettamente complessa. Nondimeno, bisognerebbe intanto fare chiarezza. Se la missione principale di un'azienda come Amt è far girare i bus, a questo compito andrebbe dedicata il maggiore impegno. Invece, gli autisti sono sempre di meno mentre aumentano coloro che fanno altro. Legittimamente, perché è innegabile che la guida sia un lavoro usurante.
Ma nessuno affronta in termini concreti questo aspetto del problema, che si traduce in una dilatazione dell'organico (già avvenuta quando la politica ne ha fatto un serbatoio clientelare-elettorale) e dei costi, preferendo mascherarlo dietro la semplicistica osservazione (sussurrata, per pavidità considerati gli interessi di bottega di partiti e movimenti) che in Amt il personale gode di privilegi da cancellare.
Forse è vero. Ma a parte il fatto che i privilegi la politica li ha dati e ora non può prendersela con chi ne beneficia (chiedere è lecito, rispondere cortesemente di no è possibile), anche la diminuzione o la cancellazione di certe voci di spesa risponde a una logica esclusivamente emergenziale.
Si può strutturalmente migliorare un po' il bilancio, ma alla lunga, senza una visione strategica complessiva, il problema dell'insostenibilità dei costi tornerebbe in tutta la sua virulenza. Perché dalla manutenzione alla copertura di linee poco remunerative, dalla vetustà dei mezzi alla massa di persone che non pagano il biglietto, altre pesanti questioni di fondo rimarrebbero irrisolte. Ridurre tutto alla responsabilità di quelle sanguisughe dei lavoratori è un misero gioco da politica cialtrona.
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Bus, costi, privilegi e la politica cialtrona
Pubblico, privato o sistema misto? Genova senza strategia
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