In principio fu il classico inceneritore, ridefinito termovalorizzatore per renderlo meno inviso. Poi ecco il gassificatore, giusto perché il sindaco che ne decantò le lodi, Marta Vincenzi, aveva un disperato bisogno di discontinuità rispetto al precedessore Giuseppe Pericu.
Ovviamente, tra l'una e l'altra opzione, e pure dopo, non si è fatto niente. Per lo smaltimento e trattamento dei rifiuti, Genova ha continuato all'antica, affidandosi alla discarica di casa, quella di Scarpino. Solo che un bel giorno la discarica l'hanno chiusa, nel mezzo ci sono stati un po' di scandali e di inchieste giudiziarie sull'Amiu, l'azienda della rumenta, come la chiamano i genovesi, e così appunto la rumenta ha dovuto essere spedita altrove.
A parte il rischio di finire come la Campania dei giorni peggiori, cioè con la spazzatura a dilagare in strada, la cosa ha prodotto un'esplosione della tassa sui rifiuti. E, quindi, del salasso a carico dei genovesi, già duramente colpiti dalle altre gabelle regionali, provinciali e comunali.
In più, ecco le proteste di chi non vuole sotto casa - si fa per dire - l'impianto di separazione dei rifiuti, propedeutico a una possibile riapertura di Scarpino. Più volte annunciata come imminente e sempre rimandata per una molto semplice ragione: gli interventi da fare hanno un costo tale - l'ultima cifra circolata è 150 milioni, ma forse è diventata la penultima - che alla voce rifiuti bisognerebbe ipotecare il futuro dei genovesi per i prossimi 30-40 anni.
Oh, da due anni, invece, ha fatto pure capolino l'ipotesi che le castagne dal fuoco le tolga Iren, la multiutility di cui Genova è azionista di maggioranza in sindacato con Torino e Reggio Emilia. Prima il dibattito ha riguardato il dubbio gara d'appalto o non gara d'appalto, ma ora che si è fatta strada la seconda ipotesi - e Iddio la mandi buona con il possibile intervento della giustizia amministrativa - il problema è diventato il valore di Amiu. Venti milioni? Venticinque? Forse appena cinque, se il contratto di servizio resta in scadenza al 2020.
Problema non secondario, perché Iren mica può fare beneficenza essendo una società quotata in Borsa. Il sindaco Marco Doria magari una mano se l'aspetta comunque, ragionando sul fatto che Torino, l'altra proprietaria, ha un debito di oltre 170 milioni verso la società. "Perché loro sì e noi no?" dev'essere più o meno il pensiero di Tursi. Forse perché fra un cambio e l'altro di management, provocati dagli errori di valutazione di Doria medesimo, Genova con l'avvento del nuovo capo azienda Massimiliano Bianco ha ulteriormente perso peso.
Va detto che per i rifiuti genovesi si è fatto avanti anche Giovanni Calabrò, amico del governatore Giovanni Toti e prim'ancora pretendente respinto per acquistare il Genoa. La cosa è lì, a mezzaria. Come tutte quelle che riguardano questa intricata vicenda, nella quale giusto per la cronaca si incastonò a suo tempo anche il tentativo di utilizzare Iren per risolvere le rogne della spezzina Acam. Era il tempo in cui la Galattica Raffaella Paita, spezzina anch'ella, sembrava lanciata verso la conquista del soglio regionale, spinta dal suo padrino Claudio Burlando.
Nel mezzo c'è stata anche l'indagine della Commissione parlamentare incaricata di fotografare l'Italia della spazzatura. Il giudizio sulla Liguria è stato tranciante: è in grave ritardo e a forte rischio di infiltrazione mafiosa. Tutta la storia sarebbe da prendere, farne un fascio e gettarla in discarica a Scarpino. Se ancora fosse aperta.
politica
Amiu e Scarpino: la politica di Tursi da gettare nella discarica
Ultimo rebus: quanto vale l'azienda genovese dei rifiuti?
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