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L'ingegnere ambientale: "Il capoluogo ligure rappresenta un'anomalia mondiale"
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Composti del cromo, del nichel, del rame, del piombo, del cadmio e dello zinco. Sono queste le sostanze tossiche trovate a Genova dall'indagine effettuata dal Comitato Porto Aperto. Si tratta delle sostanze che l'Epa - l'agenzia americana per la protezione ambientale - collega alla presenza di attività di riparazioni navali. "L'indagine posta in essere - spiega l'avvocato Lorenzo Barabino, legale del Comitato - è volta ad affrancare dei dati che sono già ben conosciuti, sulla base dei protocolli internazionali dell'Epa, che hanno chiarito che le emissioni generate da attività come quelle delle riparazioni navali sono altamente nocive per l'uomo e causa di gravi malattie".

Secondo questo report, dunque, le riparazioni navali starebbero inquinando Genova e sarebbero una fonte di pericolo per la salute dei genovesi. Una situazione preoccupante, che non riguarderebbe tuttavia soltanto quelle parti di città vicine al porto. Come spiega sempre l'avvocato Barabino, "le indagini sono state svolte in aree assolutamente eterogenee. Questo è un tipo di inquinamento che non coinvolge solamente le zone adiacenti al porto ma coinvolge tutto il centro storico. Stiamo parlando di circa 275 mila abitanti e di tutti i soggetti che transitano in queste zone. Inoltre è una situazione che, a seconda dello spirare dei venti, coinvolge tutta la città".

"Le maggiori evidenze scientifiche evidenziano rischi per il sistema nervoso centrale per la presenza di queste sostanze", spiega a Primocanale l'ingegnere ambientale Gian Giorgio Parodi, che sottolinea cosa si potrebbe fare per porre rimedio a questa situazione. "La pericolosità non si può eliminare se non interponendo una distanza di sicurezza tra le zone residenziali e queste attività", afferma. "Non ci sono migliori tecnologie che possano migliorare la situazione, soprattutto perché le attività vengono svolto all'aperto e ci sono delle emissioni diffuse, non concentrate in un singolo luogo".

"Nel 2010 - ricorda l'ingegnere - l'Ocse ha preso i dati dell'Epa e ha informato tutti i Paesi, i quali stanno prendendo dei provvedimenti che riguardano la delocalizzazione delle attività. Marsiglia ha provveduto vent'anni fa a delocalizzare i vecchi bacini, che erano a tre chilometri dal centro della città e li ha spostati a sette-otto chilometri. In questi mesi Bordeaux ha già chiuso due bacini per spostarli a distanze adeguate".

E Genova? Parodi sostiene che il capoluogo ligure costituisca "un'anomalia mondiale", perché "non si capisce come ancora oggi possano esistere delle attività a duecento metri dalle zone a maggiore densità di popolazione della città" quando "l'Epa suggerisce una distanza di almeno cinque chilometri".