Questa naturale tendenza è stata riconfermata nel momento più politicamente significativo della visita di Francesco: il discorso dell’Ilva. Una sorta di “jobs act” vaticano che spazza via, come un deciso colpo di tramontana, i tentennamenti delle iniziative della politica nel mondo del lavoro. E ieri, come mi faceva notare un imprenditore attento, citando Einaudi e la differenza tra imprenditore e speculatore, impresa reale e finanza, il pontefice ha anche disegnato positivamente il ruolo dell’imprenditore “parlandone bene” come mai prima era stato fatto. S’intende: a patto che... Perché il papa le linee le segna sempre e sono binari d’acciaio.
Il secondo momento forte delle dodici ore di Bergoglio a Genova è tutto nella “poesia” del cardinale Angelo Bagnasco. Nelle stringenti e commoventi parole di saluto al Papa, l’”arcivescovo timido” ha fatto uscire un’incredibile passione per Genova e un esplosivo orgoglio per la genovesità, racchiusa in poche sottolineature: i vicoli, il porto, il mare intesi come segni della ripresa.
Bagnasco, senza mai alzare il tono della voce, nel suo stile elegante e sottile, è riuscito a toccare le corde più emotive della lunga giornata papale, nell’ora in cui il vecchio padre, segnato dalla stanchezza e dalla profondità degli incontri alcuni dei quali drammatici, si avviava al commiato, con un richiamo altissimo ai valori di Genova.
Mare, città vecchia e contradditoria (dove l’arcivescovo è cresciuto) e porto, vera fabbrica-simbolo tra passato e futuro. Poche parole da genovese, magari orso o diesel, affettuoso ma non mieloso, lucidissimo, schietto (difficilmente Francesco lo pensionerà nel 2018!). Porto, vicoli e mare per lasciare impressa negli occhi stanchi del papa l’immagine di una Genova da amare, un po’ come “la sua Buenos Ayres” da cui i nostri avi volevano ritornare a “posà e osse” a tutti i costi.
Grazie arcivescovo. Altro che slogan della politica! Ci siamo presi in dodici ore staffilate e carezze indimenticabili.
IL COMMENTO
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