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Dietro la scelta del sindaco anche ruggini personali
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"Rafforzare la componente civica dell'amministrazione". Lo vanno ripetendo come un mantra Alberto Biancheri e i suoi sodali per spiegare l'idea di smontare e rimontare la giunta di Sanremo a metà consiliatura. E senza alcuna apparente motivazione di urgenza. Non sarà onusto di gloria, il governo della città del Casinò e del Festival, e ha le sue spine - prima fra tutte la questione rifiuti - ma non è peggiore di tanti confratelli italiani. Anzi, a dirla tutta è molto meglio.

E allora perché Biancheri ha preso una simile decisione? Rafforzare la componente civica, per stare alla motivazione ufficiale, intanto ha la sua bella ricaduta politica. Oggi il sindaco sanremese e la sua squadra sono legati al Pd, poi avranno le mani molto più libere. In vista delle future elezioni, potranno persino cambiare cavallo e cavalcare con il centrodestra. I dinieghi sono inevitabili, scontati. Però il flirt con Giovanni Toti è reale, concreto. Biancheri ha un rapporto ottimo con il governatore ligure e ce l'ha buonissimo con Marco Scajola, assessore regionale all'urbanistica e vero depositario del "totismo" nel ponente ligure che fu regno dello zio Claudio, "u ministru".

I bene informati raccontano che questa storia ebbe inizio con l'esito delle regionali 2015. Biancheri era un burlandiano-paitiano e si trovò spiazzato non poco, guardando alle cose di casa sua, quando Toti fece saltare il banco. Anziché stendere il drappo nero come avviene in questi caso nel suo Casinò, Biancheri cominciò a meditare sul da farsi. I primi approcci, infatti, non furono semplici. A cominciare dalla pratica delicata dell'outlet di Valle Armea, un dossier sul quale c'è sempre stato l'occhio vigile - secondo alcuni anche molto di più- anche del papà di Matteo Renzi.

Inizialmente, sulla scia di quanto avvenuto a Brugnato (La Spezia), la Regione a trazione totiana eccepì sul progetto. Poi le cose hanno cominciato ad appianarsi e su altri temi delicati, come ad esempio il Puc (Piano urbanistico comunale) le relazioni sono filate via assai più lisce. Biancheri ha intensificato i rapporti con Toti e Scajola e ad un certo punto, pare non richiesto, ha deciso di lanciare un segnale forte assai: io rifaccio la giunta, la rendo meno "piddina" e guardante a sinistra e per il prossimo giro mi rendo pronto a un'intesa con il centrodestra. Che dopo la Regione ha conquistato Savona, Genova e Spezia e si prepara a marciare con le sue falangi anche su Imperia.

Ragionamento in se stesso semplice, ma che avrebbe dovuto avere la complicazione delle relazioni con il Pd. Solo che il Pd di oggi non è neppure lontano parente del partito che fu. Così è successo che per mesi Biancheri ha potuto coltivare il suo disegno dialogando con il gruppo consiliare democratico alle spalle del suo leader riconosciuto, Leandro Faraldi, assessore e vicesindaco. Quando Faraldi e il partito se ne sono accorti, ormai era troppo tardi: Biancheri aveva con sé la stragrande maggioranza dei dem. Neanche una voce si è alzata a difesa di Faraldi. Quando il Pd aveva altri nomi, almeno ci sarebbe stata la finta tattica di una reazione sdegnata, si sarebbe urlato di un partito pronto a far saltare tutto e di riportare il sindaco dritto filato alle urne, altro che lasciargli l'agibilità di rafforzare la componente civica da usare, in futuro, magari contro lo stesso Pd.

Ma prima, appunto, c'era un partito. Oggi ci sono, ovunque in Liguria, delle individualità che ragionano pori a di tutto in termini di bottega personale. In passato il segretario regionale, attualmente è il parlamentare Vito Vattuone, si sarebbe precipitato a Sanremo per sostenere i "compagni" e impedire che il sindaco si scegliesse a piacimento gli interlocutori. Oggi, niente di tutto questo.

Del resto, raccontano i bene informati, nel Pd sanremese c'è chi stapperà lo champagne quando diventerà ufficiale la giubilazione di Faraldi. Le ruggini personali sono incrostazioni che pesano. E sono pesate anche nel rapporto fra Biancheri e l'altro assessore eccellente che ci lascia le piume, cioè Daniela Cassini. Titolare del turismo, a Biancheri sta sul gozzo da sempre, anche se non lo ammetterà mai in pubblico. Questione di feeling politico che non c'è (lui è un centrista convinto, lei sta a sinistra convintamente) e anche, si dice, di una certa gelosia per l'ombra che l'assessore ha fatto in questi anni al sindaco su temi molto popolari come il turismo e le manifestazioni.

Difatti, per rafforzare la componente civica e garantirsi da brutte sorprese, Biancheri non assegnerà più al Pd le delega ai lavori pubblici - con tutto quel po' po' di opere di cui da qui alle elezioni dovranno essere tagliati i nastri - e medita seriamente di tenere per se' turismo e manifestazioni. Ah, ha pure fatto campagna acquisti, visto che i consiglieri della lista Il Cittadino confluiranno direttamente nella sua formazione.

Le partecipate, invece, Biancheri le assegnerà. Finora erano gestite da Giuseppe Di Meco, uno dei suoi fedelissimi. Salta anche lui, ma in questo caso è solo fumo negli occhi. L'operazione serve come foglia di fico nel tentativo, invero un po' puerile e per niente credibile, di dimostrare che il rimpasto deciso da Biancheri è così sincero da non risparmiare neppure un grande amico. In realtà a Di Meco, che peraltro potrebbe migrare a un incarico di prestigio come la presidenza dell'Aamaie, non dispiace affatto lasciare la giunta. Da imprenditore, infatti, potrebbe trovarsi in conflitto di interessi quando nella città dei fiori partiranno alcuni affari.

È la migliore dimostrazione che dal flirt con Toti al riposizionamento politico, alle ruggini personali, c'è anche molto altro, e di molto concreto, in questo festival degli assessori voluto dal sindaco Biancheri. Del resto, siamo o non siamo a Sanremo?