cronaca

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I numeri ci dicono che, salvo brutte sorprese causate da civica idiozia, i ricoveri ospedalieri starebbero lentamente, molto lentamente, calando. Quello che sta succedendo ci conferma che gli ospedali pubblici vanno rinforzati: più posti letto, più terapie intensive flessibili, più medici, più infermieri. Più soldi alla sanità pubblica e più soldi alla ricerca con un piano coraggioso di rientro in Italia dei nostri giovani scienziati. Su questo tema leggo che, improvvisamente, tutti sono d’accordo, anche quei politici nazionali bipartisan che per anni hanno ostinatamente predicato tagli alla sanità seguendo lo slogan che la sanità in fondo era una fonte di sprechi. Forse sarebbe stato sufficiente che questi politici frequentassero un ospedale non da cittadini privilegiati, ma da cittadini normali (pazienti) per rendersi conto della situazione al limite del tracollo. Una sanità che, come ho più volte scritto, si è tenuta in piedi esclusivamente per lo spirito di sacrificio di medici e infermieri. Categorie spesso bistrattate e che ora diventano preda di amori improvvisi da parte della politica e anche (per fortuna) di molta parte dell’informazione che, a volte, ha vissuto sull’amplificazione dei casi di malasanità, che fanno vendere più delle storie banali di chi fa seriamente il suo lavoro. Non che non ce ne siano stati casi di malasanità. Anzi, anche tanti, troppi. Ma a fianco alle mele marce marciava nel nostro Paese e per nostra fortuna era la maggioranza, una sanità pubblica tenace e di alta qualità. In tutte le regioni a Nord, al Centro e al Sud.


Fatta questa premessa, se davvero si alleggerirà un po’ l’immane peso del cornavirus sugli ospedali, la fase 2 si giocherà sul ruolo strategico dell’assistenza dei malati a casa. Cioè di un’ assistenza territoriale che deve essere reinventata o quasi, tenendo conto della forza impressionante di questa epidemia. Assistenza territoriale che vuol dire: visite, contatti telefonici e via web, utilizzo dei farmaci necessari. Cioè una reale presa in carico dell’ammalato. E va fatta anche con l’apporto essenziale dei medici di famiglia, oggi troppo spesso costretti a essere soprattutto distributori di ricette.

Per questo mi ha fatto piacere leggere domenica l’intervista del serio ministro Speranza, un politico che non ama svolazzare di studio in studio a sparare cazzate. Dice testualmente il ministro della Salute a “La Repubblica” che il secondo punto del piano predisposto dal governo per il futuro prossimo della Sanità prevede: “il rafforzamento delle reti sanitarie locali”, appurato che “il metodo ospedale centrico non funziona. La prossimità ai cittadini velocizza le diagnosi, permette la prevenzione e l’isolamento. Se hai delle squadre di intervento veloci, riesci a tenere il malato a casa”.

Infine, quello che va riconsiderato è il ruolo del medico a partire dall’Università che ha la sua quota di responsabilità. Tutto ciò tenendo presente una regola a volte dimenticata: per andare avanti vale solo il merito. Il resto è noia.