“Che l’inse?” “Chi comincia?” Quante volte a scuola abbiamo ascoltato questa frase in genovese. E’ la frase con cui Balilla il 5 dicembre del 1746 scatenò la rivolta dei genovesi contro gli occupanti austriaci. E’ allora giusto che il nostro Racconto di Genova di questa domenica “inciampi” nel ragazzo di Portoria. Ci siamo lasciati una settimana fa incuriositi davanti all’Enea di piazza Bandiera. Saltiamo qualche strada e qualche piazza e siamo a Piccapietra. Dove fino a qualche decennio fa c’era la vecchia Portoria e si scendeva per vicoli partendo da via Roma.
Tutto avvenne qui, proprio nel cuore dell’ antica Portoria. Qui, dove l’antica Portoria del Settecento è stata rasa al suolo e dove questa statua di Giovanni Battista Perasso mentre tira il sasso contro i soldati austriaci ricorda quella epica ribellione. Qui dove era l’antico ospedale di Pammatone e dove resiste fortunatamente la splendida chiesa di San Camillo. Su Balilla e la sua storia ci sono verità e leggende.
Dunque partiamo dal 1740 quando Maria Teresa erede al trono di Ungheria e Austria deve fare i conti con un gruppo di potenti suoi pari che la vorrebbero togliere di mezzo. Alla fine come sempre si arriva a un compromesso e nel 1743 l’imperatrice si allea con gli inglesi e il re di Sardegna al quale regala come contropartita il marchesato di Finale. Peccato che questo marchesato fosse stato regolarmente acquistato dai genovesi trent’anni prima.
Scoppia una guerra in Europa e Genova si allea con i francesi e gli spagnoli contro gli austriaci e gli inglesi.
Gli inglesi si sa arrivano sempre dal mare e bombardano la riviera di Ponente, gli alleati di Genova vengono sconfitti e il 4 settembre del 1746 alle porte della città, a Sampierdarena, si accampano gli eserciti dell’imperatrice.
A comandarli c’è il generale Antoniotto Botta Adorno, pavese ma figlio di un nobile genovese che era stato esiliato dalla Repubblica. Botta Adorno quindi aveva un conto aperto proprio con Genova.
Il risultato furono pesantissime condizioni fiscali: decine di migliaia di genovini estorti, senatori in ostaggio e la solita richiesta umiliazione del doge che era Gian Francesco Brignole alla corte di Vienna a chiedere scusa e a sottomettersi. Il commissario inviato nella Repubblica aggiunse ancora altre richieste di denaro, pretendendo tre milioni di genovini da versarsi in tre rate in una settimana. Una follia. Questi denari furono presi in parte dal Banco di San Giorgio ma pagare questa sorta di riscatto era impossibile. Nemmeno il Papa riuscì a calmare le acque agitatissime. I soldati austriaci fecero il resto con un vero e proprio saccheggio nella città. L’odio dei genovesi, tutt’altro che docili di fronte ai soprusi dei potenti di turno, cresceva di giorno in giorno.
Ecco che il 5 dicembre, proprio qui a Portoria un gruppo di austriaci tentava senza riuscirci di liberare un pesante mortaio che era a difesa della Repubblica e era sprofondato nel fango della strada. Chiesero con arroganza aiuto ai cittadini che si rifiutarono. Un ufficiale allora prese a bastonate uno dei genovesi riluttanti e così scoppiò la scintilla. Ai genovesi non andava giù che gli occupanti si portassero via anche le armi in difesa dell’ autonomia della città.
Ecco la cronaca di quelle ore fatta da Giovanni Francesco Doria testimone di questi fatti. ”Un popolo assuefatto ad essere sempre colla maggiore dolcezza trattato e non accostumato a vedersi comandare con sì fatto linguaggio, perdé finalmente la pazienza ed intesosi dalla voce di un ragazzo in lingua del paese un motto “ Che l’inse? Il quale nella Toscana vale a dire Che la incomincia a rompere? si vide come una pioggia di sassi improvvisamente scagliati contro gli austriaci, talmente che questi furono costretti ad abbandonare il mortaio e a salvarsi colla fuga”.
Dunque un ragazzino di undici anni lanciò contro la soldataglia un sasso, nacque un fitta sassaiola, scoppiò la vera rivolta con la partecipazione corale di tutta la popolazione.. Gli Austriaci furono cacciati dalla città ma restarono nelle vicinanze. Ci vollero ancora molti mesi per la definitiva vittoria. La ribellione locale così si era trasformata in una guerra: da una parte i austriaci e inglesi, dall’altra francesi e spagnoli che vennero a dare una mano ai poveri genovesi.
Nel 1748 al grido di “Viva Maria!” la Madonna unica regina di Genova, apparsa al superiore del santuario di Nostra signora di Loreto , nel quartiere di Oregina proprio nei giorni della rivolta, gli austriaci furono sconfitti dopo una furiosa battaglia in una terribile giornata di pioggia. Scavalcarono la Bocchetta e se ne andarono inseguiti anche dai cittadini polceveraschi.
E questa volta tra i genovesi si distinse come ribelle un altro ragazzino chiamato Pittamuli che incendiò un’ osteria vicina al ponte di Sant’Agata sul Bisagno dove erano riuniti dei soldati nemici. Ma chi era Balilla? Che sia esistito non ci sono dubbi. C’è un dispaccio del veneziano Cavalli datato 13 gennaio 1747 che riferisce di aver visto un manifesto nel quale era detto che «la prima mano, onde il grande incendio s'accese, fu quella di un picciol ragazzo, qual diè di piglio ad un sasso e lanciollo contro un ufficiale tedesco» Ma non esistono documenti che attestino che il ragazzino fosse detto "Balilla", così come non esistono prove che questo Balilla fosse Giovanni Battista Perasso: tutto si basa solo sulla continuità della tradizione nel quartiere di Portoria. E nel 1881 una commissione di studiosi ascoltò testimonianze nel quartiere di gente che diceva di aver conosciuto di persona il Balilla e quindi la commissione stabilì con quasi certezza che l’undicenne era proprio Giambattista Perasso figlio di un tale Antonio Maria che tingeva la seta, nato nella parrocchia di Santo Stefano il 26 ottobre 1735.
E Perché Balilla? Da Balin, balletta, palla, pallina, un modo ancora oggi usato per chiamare i bambini. Affidiamoci a quello che scrive un grande storico, Federico Donaver. “Intorno al giovanetto si venne formando una leggenda, per la quale si volle identificare il ragazzo in un Giambattista Perasso, detto il Balilla, nativo secondo gli uni di Montoggio, secondo gli altri della parrocchia di Santo Stefano. In fatto nessun documento ne prova chi sia stato l’iniziatore di quella memoranda sommossa, e quindi dirò che il monumento di Portoria anziché un eroe individuo rappresenta l’ardire generoso d’un popolo che, giunto al colmo dell’oppressione, spezza le sue catene e si rivendica in libertà”.
E questa soluzione piace anche a noi perché rappresenta bene il carattere di Genova sempre e in ogni tempo ribelle contro gli oppressori.
A proposito il monumento che vediamo davanti a Palazzo di Giustizia fu realizzato dallo scultore Vincenzo Giani alla fine dell’Ottocento.
(6-continua)
cronaca
5 dicembre 1746, "Che l'inse?" La rivolta del ragazzo di Portoria
Il “Racconto di Genova”. Verità e leggende intorno a Giovan Battista Perasso /6
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