È il ritornello di ogni fine anno, almeno da un decennio. Il tempo è la migliore medicina per dimenticare le amarezze, dicevano. Sarà, ma se tieni ai tuoi monti, allora, a quel dolore, non riesci proprio ad abituarti. Tra Natale e Capodanno, lo rivivi come la prima volta.
Sia chiaro, i drammi di questi giorni restano legati alla perdita di vite umane e a migliaia di famiglie che vivranno festività di tristezza, senza parenti e amici stroncati dal Covid e dalle sue tragiche conseguenze.
Tuttavia, in altro modo, fa male dover registrare ancora innumerevoli saracinesche abbassate di quelle botteghe che vendono alimentari in quota di cui Viaggio in Liguria e Primocanale, per numerose trasmissioni, e ancora oggi, continuano a occuparsi raccontandone storia e importanza scacciando chi etichetta l’impegno come retroguardia.
La realtà dice che, senza una tassazione ad hoc in grado di riconoscerne il valore sociale, la conta delle morti proseguirà priva di sosta portando via anche quelle realtà che hanno la fortuna di lavorare in muri propri, senza affitto. Non serviranno bandi pubblici, seppur lodevoli, per comprare frigoriferi o attrezzature. Saranno vani i fatturati mensili dell’epoca Covid che tutto d’improvviso, e in modo effimero, ne ha fatto riscoprire il valore. Lo va ripetendo da oltre un lustro, il cucinosofo Sergio Rossi. Nessuno o pochi ascoltano. Servono soluzioni oggi, perché la morte delle botteghe di montagna non si arresta. Occorrono proposte concrete che forniscano ai gestori gli strumenti per salvarsi. Ciò che si fa per una bottega dei monti, unico presidio rimasto in un piccolo paese, è destinato alla comunità, non al privato che ne beneficia direttamente. Dunque, l’ente pubblico può agire concretamente nell’interesse della collettività.
L’orologio gira, i bottegai invecchiano e nessuno dei figli si avventura in una lotta che appare impossibile quando, invece, potrebbe garantire un normale e dignitoso posto di lavoro oltre a un incalcolabile presidio paesano.
L’ultimo caso, per chi scrive, segna, se possibile, la certificazione della sconfitta di una battaglia giornalistica, comunque, giocata sempre a testa alta perché nella piena convinzione che quelle esperienze, seppur da modernizzare, non possono appartenere solo a un passato sulla via del tramonto. Soppresse le botteghe – dopo gli uffici postali, all’indomani di scuole e banche – nell’assordante silenzio della politica nazionale e locale, sarà la fine definitiva dell’entroterra.
L’ultimo caso, appunto. Arriva da Migliarina, minuscola frazione di Mignanego a 800 metri dal Passo dei Giovi. Lì, c’è (ancora per qualche ora) un minuscolo commestibili in cui dietro il banco ha lavorato per decenni la signora Maura ereditando il testimone dalla mamma Agnese. Il 31 dicembre chiuderà e andrà in pensione. Per chi è cresciuto in quelle vie, la Gniese (solo scrivendo una cartolina dalle vacanze su dettatura dei genitori a 8 anni scoprimmo che in italiano era Agnese) ha rappresentato uno dei simboli delle nostre conquiste generazionali. Dapprima, la spesa con la nonna. Poi, la responsabilità di andare a comprare un etto di prosciutto, da soli, tenuti sott’occhio dagli adulti, sentendosi cresciuti nel pagare e prendere il resto. Poi, più grandi, sempre lì, per portare pane, latte e frutta agli anziani del posto.
Nelle cronache del 2014, quando la strapotenza di Amazon era solo all’orizzonte, ai microfoni di Primocanale (vedi video) Maura disegnava già una fine vicina. È arrivata sei anni più tardi nel silenzio istituzionale, mentre la mamma Agnese, con le sue 94 primavere, combatte in un letto d’ospedale.
Non chiede nulla, la signora Maura. È lo stile della gente d’entroterra. E mai ha pensato che quel bancone sotto casa potesse diventare il posto della figlia.
Difficile dire se Babbo Natale avrà ancora tempo per passare da Migliarina, quest’anno. Nel caso troverà una letterina con due soli punti, purtroppo, già profumati di utopia:
-un tardivo esame di coscienza per politici nazionali e locali
-fare in modo che tutto questo non sia vero e quella saracinesca non vada giù per davvero.
cronaca
L’addio della Maura e la morte lenta
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