La macchina del tempo riporta al Nazareno, l'orologio della politica torna indietro di sette anni, a quel 18 gennaio 2014 quando Renzi e Berlusconi si erano accordati per riformare il rapporto Stato-Regioni, abolire il Senato elettivo, approvare una nuova legge elettorale e designare Giuliano Amato al Quirinale.
Proprio sul nome del costituzionalista torinese l'accordo era saltato poco più di un anno dopo. Renzi aveva infatti deciso, con uno dei suoi bruschi strappi, di accantonare Amato per mandare al Colle, al quarto scrutinio e con i soli voti della sinistra, quel Mattarella evidentemente ritenuto più malleabile,in funzione dei successivi disegni di presidenzialismo destinati alla bocciatura nel referendum popolare.
Adesso il Cavaliere e l'ex concorrente alla "Ruota della Fortuna" sulla sua rete ammiraglia si ritrovano padroni del destino di Conte, del governo e del Paese. La disponibilità di Berlusconi alla "pace" con l'ex ami/nemico non sarebbe gratis: il Cavaliere, dicono nella sua stretta cerchia, punterebbe al Colle.
I giochi sono aperti. Stamattina il primo ministro è salito al Colle per dimettersi, Mattarella ha accolto con riserva fissando per domani pomeriggio l'avvio delle consultazioni.
In queste ore i telefoni friggono, gli incontri riservati si susseguono, il mercanteggiamento ferve ma Conte si è accorto di non essere in grado di rastrellare un numero sufficiente di senatori per guadare lo "stretto di Bonafede", ovvero il voto sulla giustizia e quindi sull'operato del guardasigilli suo fedelissimo.
Difficilmente Mattarella concederà un reincarico a Conte, se Renzi e Berlusconi riusciranno a dimostrare al Capo dello Stato di controllare i loro gruppi parlamentari, impedendo isolate "fagianate" (nel gergo del ciclismo, la fuga in sordina travestita da semplice progressione esplorativa) di "costruttori". Se i due ex nemici daranno a Mattarella la disponibilità a un governo di unità nazionale, in cambio di un nuovo nome a Palazzo Chigi, Conte uscirà di scena.
A vantaggio di chi? Difficile che l'invocatissimo Draghi, nominato più volte anche da Salvini assai desideroso di rientrare in partita, accetti di entrare in scena a questo punto. Circola la voce dell'ennesima mossa del cavallo di Renzi, che avanzerebbe il nome di Di Maio non tanto per appoggiarlo davvero, quanto per determinare la definitiva frantumazione dei gruppi parlamentari grillini tra governisti a oltranza, movimentisti e nostalgici dell'alleanza con la Lega. Anche il PD sembra indeciso a tutto, tra l'ipotesi di un ingresso di Zingaretti nella compagine ministeriale e l'uscita di Franceschini verso la presidenza della Camera con Fico a candidarsi sindaco di Napoli, la possibilità di Orlando o Gualtieri a Palazzo Chigi, la ricucitura con Renzi in cambio di un dicastero come Esteri o Difesa, funzionale alle ambizioni di segreteria Nato del senatore di Rignano. Solo la Meloni sembra ferma sulla sua posizione di indisponibilità a ogni soluzione diversa dalle elezioni anticipate, per uno scetticismo già espresso in aula quanto ai "compassi" pronti a tracciare i cerchi concentrici della quadratura della crisi.
Di certo il pallino passa da Casalino, influente Tigellino di Conte, al potente segretario generale del Quirinale Ugo Zampetti, assai più rodato e aduso ai giochi proibiti che si sono aperti dalla tarda mattinata. Quasi nessuno vuole andare a votare davvero, ma le crisi al buio come questa difficilmente hanno sviluppi chiari e lineari.
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Conte si è dimesso, il pallino della crisi nelle mani di Renzi e Berlusconi
Il capo dello Stato ha fissato l'avvio delle consultazioni per domani pomeriggio
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