Siccome ascolto e leggo tutti i giorni di indicibili nefandezze a proposito di vaccini anti-covid e dintorni, esco dal coro. E racconto una mia personale esperienza positiva. Che comincia quando mi attivo per l'iniezione immunizzante destinata alla mia mamma, un'arzilla e pienamente autonoma signora di quasi 89 anni.
Prenoto con il computer, attraverso il sito della Regione Liguria. Non sono particolarmente dotato con le diavolerie dell'odierno mondo tecnologico, ma seguendo il semplice consiglio di mettermi a portata di mano tessera sanitaria e documento di identità, impiego non più di due minuti.
Ricevo l'appuntamento per le 10,45 di lunedì 15 marzo, presso il centro Giovanni Falcone di Camporosso, in località Bigauda. Abitiamo a Imperia e so già che molti osserveranno: perché quasi all'estremità occidentale della provincia, quando ci sono un centro vaccini al Palasalute proprio di Imperia e un altro presso la nuova stazione ferroviaria di Taggia?
Ci ho pensato anche io, lì per lì. E mi sono informato. La risposta è stata convincente: il computer è abilitato a darti il primo appuntamento utile dovunque esso sia disponibile, sta a te accettarlo o provare a cambiarlo. In questo caso, rischiando una data più lontana. Al momento della prenotazione non lo sapevo, ma lo avevo intuito. Così ho accettato subito Camporosso.
Mi ci sono presentato in anticipo, ovviamente insieme a mamma. Primo approccio: il parcheggio per l'auto. Cinque persone della protezione civile ti aiutano a posteggiare, avendo cura di chiederti a che ora hai l'appuntamento. Se ti devi fermare un po' ti sistemano in un posto dove non dai fastidio, altrimenti ti fanno anche mettere in seconda fila: tanto loro sono lì pronti a intervenire, se ce ne fosse bisogno. Psicologicamente, guardate che è un bell'arrivare.
Il secondo passo è che mentre mia madre si sgranchisce le gambe, io chiedo informazioni nel piccolo atrio. Altri della protezione civile stanno lì a disposizione e tutti i miei quesiti hanno risposta rapida e gentile. Il più importante: posso entrare anche io? "Certo, gli anziani possono essere accompagnati". L'attesa scorre tra le solite chiacchiere con gli altri vaccinandi, che vengono chiamati in base all'orario dell'appuntamento.
Un addetto si accorge che mia mamma non sfrutta le numerose sedie a disposizione nell'ampio giardino del centro. Domanda perché e quando gli spiego che poi avrebbe difficoltà a rimettersi in moto, unica concessione fatta all'età, replica: "Non possiamo farla stare in piedi a lungo. Signori - si rivolge agli altri vaccinandi, che sono più giovani - è un problema se facciamo passare la signora?". È un coro di sì. Così dopo cinque minuti tocca a noi.
Nell'atrio, che guadagniamo dopo esserci disinfettate le mani e aver misurato la febbre, declino le generalità della mamma, quindi veniamo inoltrati nell'ascensore che ci conduce al piano -1. Le porte si schiudono su un grande salone al cui ingresso stanno due giovani, un ragazzo e una ragazza, della Croce Azzurra di Vallecrosia. Consegno la tessera sanitaria e il ragazzo compila la prima parte di una cartella clinica. Sopra ci scrive un numero: 55. Mi consegna un foglio ("Ci riporti le reazioni al farmaco") e quattro pagine di informazioni sul vaccino, il Pfizer.
Passiamo nel salone. Un'altra ragazza mi viene incontro e domanda che numero abbiamo. Le sedie sono ampiamente distanziate, un servizio di ordine e controllo fa la spola fra le varie persone in attesa. Colpisce la gentilezza e l'attenzione che costoro hanno verso i vaccinandi e i loro accompagnatori. È il momento, la ragazza che ci ha accolti chiama: "Tocca al 55! Ah, eccovi, andate lì...".
Mi domando come possa ricordarsi di tutti, beata gioventù. Entriamo in uno dei due box, separati, dove una dottoressa e un dottore sbrigano la parte burocratica. A noi tocca il dottore: compila la scheda di anamnesi, ricopia la lista dei farmaci che mia madre assume regolarmente e mi riconsegna il tutto: "Vi chiameranno sempre con il vostro numero, il 55. A puntura fatta, andate in fondo alla sala e ci state per quindici minuti. Mi raccomando, l'uscita è l'unica cosa fatta in autonomia, ci rimettiamo al vostro scrupolo: non andate via prima di un quarto d'ora".
Così avverrà. Prima una ragazza bruna, ce n'è anche una bionda, sempre della Croce Azzurra di Vallecrosia, ci chiama per l'iniezione. Mamma prende posto in una delle quattro postazioni attive e un medico o un'infermiera, per delicatezza non approfondisco, le fa la puntura. Viene liberata in un amen, giusto il tempo occorrente alla volontaria per dirmi: "Questo tagliandino lo riporta quando sua mamma farà la seconda dose, ci vediamo il 5 aprile". A proposito, faccio io, guardi che è Pasquetta, ma voi ci siete? "Certo, saremo qui. Arrivederci". Atteso il quarto d'ora canonico, usciamo.
Saltiamo in auto e uno dei posteggiatori di cui sopra ci aiuta a riprendere la strada principale. "Grazie", saluto io. Poi mi giro verso mia mamma: "Ma', ho un dubbio. Siamo a Camporosso, Liguria, Italia, o senza accorgercene siamo finiti in Svizzera?". Lei sta un attimo in silenzio, poi mi fa: "Organizzati, eh? Guarda che pure noi se vogliamo siamo capaci. Dovresti farci un articolo". E ce lo faccio sì, l'articolo. Una cosa che in questa Italia funziona è una notizia. Una buona notizia, finalmente!
Ps destinato ai no-vax: nessuna reazione negativa dal vaccino, anzi nessuna reazione proprio.
salute e medicina
Vaccino anticovid a Camporosso: non è Svizzera, ma l'Italia che funziona
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