
Si chiamava Luciano, aveva 91 anni, era una persona speciale, intellettualmente preparato, è sempre stato vicino a noi, finché ha potuto, a nostra mamma, scomparsa per un tumore, e alle sue figlie, a me e a mia sorella.
Proprio per questo il dolore che provo ancora e che proverò sempre, è quello di non essergli stata vicino nella sua ultima stagione di vita. L’ho visto l’ultima volta a metà novembre. Questo dimostra la disumanità del virus contro cui stiamo tutti combattendo. Non certo per colpa dei medici e del personale sanitario. Si sono alternati sempre al suo capezzale con una dedizione straordinaria. Papà era entrato al Galliera per curare una problematica polmonare ed era in attesa della terza visita per il pace-maker. In seguito trasferito al Pronto soccorso del San Martino ha sempre ricevuto l’assistenza adeguata. Ed è stato proprio in ospedale che ha incontrato il Coronavirus.
Mi rimarrà il dolore di non averlo visto l’ultima volta negli occhi. Ricordo l’ultima volta che ho potuto recarmi in ospedale: stavo fuori dal reparto, sapevo che dall’altra parte del muro c’era lui, e rimasi lì, incollata, non so per quanto, a immaginare il suo volto. Ma voglio dire ancora una cosa, se posso.
Vorrei incontrare i negazionisti, queste persone secondo le quali il virus non esiste e le vittime sono il frutto di una isteria collettiva. Coloro che si tramandano sciocchezze, come quella del monatti che, al tempo della peste, nel 1630, a contatto con gli appestati, non si contagiavano. Vorrei solo dire a queste persone di smetterla con le sciocchezze: è gente senza rispetto per il dolore. Grazie”.
Così la signora Laura da Rivarolo, in diretta nella mattina del 18, Giornata nazionale in memoria delle vittime Covid. E un giorno prima del 19 marzo, la giornata della Festa del papà.
IL COMMENTO
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