L'ultima volta che Sean Penn ha gareggiato a Cannes da regista è stato nel 2016 con "The Last Face", un film davvero tremendo, ai limiti dell’inguardabile, che raccontava la storia d'amore tra due operatori umanitari nell'Africa devastata dalla guerra. E’ il motivo per cui tra gli addetti ai lavori c’era molta attesa per questo ‘Flag day’ nella speranza che non si ripetesse il disastro di cinque anni fa.+
Tratto da una storia vera raccontata in un libro, il film inizia nel 1992 quando il personaggio di Penn, John Vogel, è accusato di aver spacciato 50.000 dollari in banconote contraffatte e di averne stampate per 22 milioni. Questo crea l'aspettativa di un film poliziesco, ma è un errore perché attraverso gli occhi della figlia Jennifer (interpretata dalla vera figlia di Penn, Dylan), si torna indietro nel tempo per raccontare invece la storia della crescente consapevolezza della ragazza su chi sia veramente il padre: un grande fanfarone con sogni ancora più grandi, la maggior parte dei quali non si sono mai realizzati. Gravemente indebitato, John abbandona la vita di Jennifer costringendola assieme al fratello minore a vivere con la loro madre, una semi alcolizzata, e l’uomo che lei frequenta che a un certo punto si intrufola nel suo letto e cerca di aggredirla. E’ la goccia che fa traboccare il vaso e la fa andar via da casa. Negli anni successivi, padre e figlia cercheranno di rinnovare un rapporto che ricucire sarà però impossibile.
Finché ‘Flag day’ (il titolo si rifà alla festa della bandiera americana, il 14 giugno, che è anche il giorno in cui è nato John) rimane dalle parti di Jennifer è un ritratto abbastanza convincente di una ragazza che scopre di non potersi fidare di nessuno dei suoi genitori costretta quindi a stare da sola: una personalità inquieta che deve aggiungere alla difficoltà di crescere quella di rapportarsi con un padre bugiardo seriale. E qui sta il limite del film, perché John Vogel – che rapina banche e spaccia soldi falsi – avrebbe in sé le stimmate di un personaggio da approfondire e invece Penn rinuncia completamente a studiare la sua psicologia per cui risulta solo un piccolo truffatore da quattro soldi, né accattivante né complicato. Penn ha già interpretato in passato uomini del genere ma bilanciando spesso fascino e doppiezza, qui invece il suo Jack è talmente patetico e unidimensionale che è difficile comprendere il fascino che esercita comunque sulla figlia nonostante le spezzi costantemente il cuore.
Si poteva fare meglio ma la sceneggiatura fin dall’inizio si assesta su uno schema di scolvolgimenti, nuovi inizi e amare delusioni che si ripete sempre uguale senza quasi mai cercare di raggiungere l'anima perduta di un uomo disperato e il desiderio di una figlia che vuole credere che sia capace di cambiare.
spettacoli
A Cannes Sean Penn con la figlia Dylan
In concorso ‘Flag day’ dell’attore-regista statunitense
2 minuti e 26 secondi di lettura
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