Abbiamo ancora negli occhi le immagini tragiche del rogo della Thyssen di Torino. La sciagura che si è abbattuta sul porto di Genova, con la morte di un lavoratore della Compagnia, riapre la ferita della pericolosità di una enorme fabbrica, come è lo scalo genovese.
E’ come lavorare in un immenso cantiere, dove si cammina sulle navi ad altezze ormai impressionanti o dove si lavora mentre le gru e i carri-ponte spostano pesantissimi contenitori. Il tema della sicurezza è centrale: proprio ieri sera, nel corso della trasmissione politica “Destra Sinistra” lo ha rilanciato la segretaria regionale della Cgil, Anna Giacobbe. Alla domanda "Che cosa vorrebbe che il governo facesse nei suoi primi cento giorni?" la riposta, oltre al rafforzamento dei salari è stata proprio sulla sicurezza dei luoghi di lavoro. Sembrano argomenti scontati, ma purtroppo non lo sono.
Poche centinaia di metri più in là, da dove ieri è precipitato sulla banchina il giovane camallo, è morto alcuni mesi fa un altro portuale, schiacciato da un container e ancora più in là anni orsono, dentro il porto storico, è morto un muratore albanese, lo ricorderete, mentre allestivano il palazzo del museo del mare. Purtroppo non sono le sole croci che nel porto mercantile segnano sciagure e lutti. Toccherà anche al nuovo presidente dell’Autorità portuale, Luigi Merlo, mettere tra le priorità di un porto che vuole voltare pagina, il capitolo della sicurezza. Che deve diventare un tema essenziale in una grande azienda che ha bisogno di svilupparsi, garantendo a chi collabora a questa crescita, di operare avendo sotto i piedi reti di protezioni.
E’ solo una questione di civiltà. Ieri il porto si è nuovamente fermato. Non l’ha fermato il vento, né il tilt di qualche computer sofisticato. L’hanno fermato il dramma di una famiglia squassata dalla morte di un congiunto e il dolore rabbioso di tanti colleghi di un giovane che non c’è più.
IL COMMENTO
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