Politica

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Il Carlo Felice è ormai arrivato al capolinea: i tappulli (da milioni di euro peraltro) non servono più. La grande crisi entra pesantemente nella eterna crisi finanziaria del teatro lirico genovese e lo demolisce. Genova soffre la doppia crisi, quella internazionale e quella locale, l’essere città senza grandi industriali pronti a correre al capezzale della cultura, l’essere troppo speso apatica di fronte agli eventi che fanno vacillare la sua storia e il suo passato. Genova non ha più la forza di mantenere questo luogo di cultura, lo Stato non ha più le capacità di coprire costi eccessivi e sproporzionati, i privati che nel passato più volte sono intervenuti per salvare le stagioni liriche sembrano perplessi su nuovi impegni, soprattutto senza un progetto che non sia soltanto farcito di buone intenzioni assolutamente impraticabili.

Ora l’unica strada possibile per evitare la chiusura del teatro è un ridimensionamento attraverso un piano serio che preveda risparmi ma anche nuove inziative tendenti a ampliare l’utilizzo di questa macchina elefantiaca e costosissima. Sono argomenti fastidiosi, che suscitano polemiche, delicati perché toccano la pelle di tanti lavoratori che hanno diritto di avere certezze e di non vivere ogni anno sulle concessioni di una Stato che non si sa che cosa ha scelto per la cultura: la vuole, la considera una della voci più importanti del bilancio italiano o mal la sopporta? Il sindaco Vincenzi chiami a raccolta la città per parlare del Carlo Felice senza infingimenti: è ridicolo in pubblico lanciare proclami e appelli vuoti di contenuto e nei corridoi dichiarare che non c’è più niente da fare.